LAUDATO SI’
LETTERA
ENCICLICA
DEL SANTO
PADRE FRANCESCO
SULLA CURA DELLA CASA COMUNE
SULLA CURA DELLA CASA COMUNE
1. «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco
d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche
come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella
che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra
matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con
coloriti flori et herba».[1]
2. Questa sorella protesta per il male che le
provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha
posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e
dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano
ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo
nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i
poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra,
che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). Dimentichiamo
che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso
corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà
il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora.
Niente di questo mondo ci risulta indifferente
3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava
sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni
XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò
solamente a respingere la guerra, bensì volle trasmettere una proposta di pace.
Diresse il suo messaggioPacem in terris a tutto il “mondo
cattolico”, ma aggiungeva “e a tutti gli uomini di buona volontà”. Adesso, di
fronte al deterioramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni
persona che abita questo pianeta. Nella mia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri
della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da
compiere. In questa Enciclica, mi propongo specialmente di entrare in dialogo
con tutti riguardo alla nostra casa comune.
4. Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971, il beato
Papa Paolo VI si riferì alla problematica
ecologica, presentandola come una crisi che è «una conseguenza drammatica»
dell’attività incontrollata dell’essere umano: «Attraverso uno sfruttamento
sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta
vittima di siffatta degradazione».[2] Parlò
anche alla FAO della possibilità, «sotto l’effetto di contraccolpi della
civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica», sottolineando
«l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta
dell’umanità», perché «i progressi scientifici più straordinari, le prodezze
tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono
congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in
definitiva, contro l’uomo».[3]
5. San Giovanni Paolo II si è occupato di
questo tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere
umano sembra «non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma
solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo».[4] Successivamente
invitò ad una conversione ecologica globale.[5] Ma
nello stesso tempo fece notare che si mette poco impegno per «salvaguardare le
condizioni morali di un’autentica ecologia umana».[6] La
distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio
ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un
dono che deve essere protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspirazione a
curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli «stili di
vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere
che oggi reggono le società».[7] L’autentico
sviluppo umano possiede un carattere morale e presuppone il pieno rispetto
della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e
«tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un
sistema ordinato».[8] Pertanto,
la capacità dell’essere umano di trasformare la realtà deve svilupparsi sulla
base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio.[9]
6. Il mio predecessore Benedetto XVI ha rinnovato l’invito a
«eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e di
correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto
dell’ambiente».[10]
Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana».[11] Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura».[12] Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi».[13]
Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolando uno dei suoi aspetti, perché «il libro della natura è uno e indivisibile» e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, «il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana».[11] Papa Benedetto ci ha proposto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irresponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue ferite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscutibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che «l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è anche natura».[12] Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta compromessa «dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi».[13]
Uniti da una stessa preoccupazione
7. Questi contributi dei Papi raccolgono la
riflessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teologi e organizzazioni
sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non
possiamo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre
Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una
profonda preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a
cuore a tutti noi. Per citare solo un esempio particolarmente significativo,
voglio riprendere brevemente parte del contributo del caro Patriarca Ecumenico
Bartolomeo, con il quale condividiamo la speranza della piena comunione
ecclesiale.
8. Il Patriarca Bartolomeo si è riferito
particolarmente alla necessità che ognuno si penta del proprio modo di
maltrattare il pianeta, perché «nella misura in cui tutti noi causiamo piccoli
danni ecologici», siamo chiamati a riconoscere «il nostro apporto, piccolo o
grande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente».[14] Su
questo punto, egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e stimolante,
invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione: «Che gli esseri umani
distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani
compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento
climatico, spogliando la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue
zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti
questi sono peccati».[15] Perché
«un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro
Dio».[16]
9. Allo stesso tempo Bartolomeo ha richiamato
l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci
invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento
dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha
proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità,
dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che «significa imparare
a dare, e non semplicemente a rinunciare. E’ un modo di amare, di passare
gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. E’
liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza».[17] Noi
cristiani, inoltre, siamo chiamati ad «accettare il mondo come sacramento di
comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala
globale. E’ nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel
più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio,
persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta».[18]
San Francesco d’Assisi
10. Non voglio procedere in questa Enciclica senza
ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e
come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che
Francesco sia l’esempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una
ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. E’ il santo patrono di
tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti
che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzione particolare verso la
creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la
sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e
un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio,
con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che
punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i
poveri, l’impegno nella società e la pace interiore.
11. La sua testimonianza ci mostra anche che
l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il
linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza
dell’umano. Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta
che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua
reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli
entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e
«li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione».[19] La
sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo
economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con
vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto
ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, «considerando
che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora
maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o
sorella».[20] Questa
convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché
influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo
alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla
meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza
nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del
dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali,
incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci
sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura
scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco
non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una
rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.
12. D’altra parte, san Francesco, fedele alla
Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel
quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua
bontà: «Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si
contempla il loro autore» (Sap 13,5) e «la sua eterna potenza e
divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le
opere da lui compiute» (Rm 1,20). Per questo chiedeva che nel
convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi
crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate
potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza.[21] Il
mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che
contempliamo nella letizia e nella lode.
Il mio appello
13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa
comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella
ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose
possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel
suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la
capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprimere
riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti coloro che, nei più svariati
settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della
casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con
vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella
vita dei più poveri del mondo. I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si
domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza
pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi.
14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo
sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un
confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che viviamo, e le sue
radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti. Il movimento ecologico mondiale
ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose
aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza. Purtroppo,
molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso
frustrati non solo dal rifiuto dei potenti, ma anche dal disinteresse degli
altri. Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i
credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla
rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo
bisogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del
Sudafrica, «i talenti e il coinvolgimento di tutti sono
necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio».[22] Tutti
possiamo collaborare come strumenti di Dio per la cura della creazione, ognuno
con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità.
15. Spero che questa Lettera enciclica, che si
aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la
grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo
luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attuale crisi
ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica
oggi disponibile, lasciarcene toccare in profondità e dare una base di
concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa
panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione
giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coerenza al nostro impegno per
l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in
modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così
potremo proporre un’ecologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il
posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni
con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un
passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia
ognuno di noi, sia la politica internazionale. Infine, poiché sono convinto che
ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò
alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperienza spirituale
cristiana.
16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua tematica
propria e una metodologia specifica, riprende a sua volta, da una nuova
prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Questo
riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica.
Per esempio: l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la
convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo
paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a
cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di
ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri
e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la
cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non
vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costantemente ripresi e arricchiti.
CAPITOLO PRIMO
QUELLO CHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA
17. Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla
situazione dell’umanità e del mondo possono suonare come un messaggio
ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confronto
con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità.
Per questo, prima di riconoscere come la fede apporta nuove motivazioni ed
esigenze di fronte al mondo del quale facciamo parte, propongo di soffermarci
brevemente a considerare quello che sta accadendo alla nostra casa comune.
18. La continua accelerazione dei cambiamenti
dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’intensificazione dei ritmi di
vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación”
(rapidizzazione). Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi
complessi, la velocità che le azioni umane gli impongono oggi contrasta con la
naturale lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che
gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamente sono
orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il
cambiamento è qualcosa di auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta
in deterioramento del mondo e della qualità della vita di gran parte
dell’umanità.
19. Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso
e nelle capacità umane, una parte della società sta entrando in una fase di
maggiore consapevolezza. Si avverte una crescente sensibilità riguardo
all’ambiente e alla cura della natura, e matura una sincera e dolorosa
preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta. Facciamo un
percorso, che sarà certamente incompleto, attraverso quelle questioni che oggi
ci provocano inquietudine e che ormai non possiamo più nascondere sotto il
tappeto. L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra
curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza
personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo
che ciascuno può portare.
I. INQUINAMENTO E CAMBIAMENTI CLIMATICI
Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto
20. Esistono forme di inquinamento che colpiscono
quotidianamente le persone. L’esposizione agli inquinanti atmosferici produce
un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri, e
provocano milioni di morti premature. Ci si ammala, per esempio, a causa di
inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai combustibili utilizzati per
cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce
tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle discariche di
sostanze che contribuiscono all’acidificazione del suolo e dell’acqua, da
fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in
generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica
soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle
molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un
problema creandone altri.
21. C’è da considerare anche l’inquinamento prodotto
dai rifiuti, compresi quelli pericolosi presenti in diversi ambienti. Si
producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali
non biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demolizioni,
rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e
radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un
immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani
ricordano con nostalgia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono sommersi da
spazzatura. Tanto i rifiuti industriali quanto i prodotti chimici utilizzati
nelle città e nei campi, possono produrre un effetto di bio-accumulazione negli
organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che si verifica anche quando il
livello di presenza di un elemento tossico in un luogo è basso. Molte volte si
prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute
delle persone.
22. Questi problemi sono intimamente legati alla
cultura dello scarto, che colpisce tanto gli esseri umani esclusi quanto le
cose che si trasformano velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per
esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non
riciclata. Stentiamo a riconoscere che il funzionamento degli ecosistemi
naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano
gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono
importanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova
generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del
ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di assorbire e
riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello
circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni
future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non
rinnovabili, moderare il consumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento,
riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sarebbe un modo di
contrastare la cultura dello scarto che finisce per danneggiare il pianeta
intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi.
Il clima come bene comune
23. Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti.
Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte
condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto
consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento
del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato
accompagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è
difficile non metterlo in relazione con l’aumento degli eventi meteorologici
estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa
scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è
chiamata a prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di
vita,di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno,
le cause umane che lo producono o lo accentuano. E’ vero che ci sono altri
fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre,
il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte
del riscaldamento globale degli ultimi decenni è dovuta alla grande
concentrazione di gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto ed
altri) emessi soprattutto a causa dell’attività umana. La loro concentrazione
nell’atmosfera impedisce che il calore dei raggi solari riflessi dalla terra si
disperda nello spazio. Ciò viene potenziato specialmente dal modello di
sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili, che sta al centro
del sistema energetico mondiale. Ha inciso anche l’aumento della pratica del
cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità
agricola.
24. A sua volta, il riscaldamento ha effetti sul ciclo
del carbonio. Crea un circolo vizioso che aggrava ancora di più la situazione e
che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua potabile,
l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà
l’estinzione di parte della biodiversità del pianeta. Lo scioglimento dei
ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto
rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata
potrebbe accentuare ancora di più l’emissione di anidride carbonica. A sua
volta, la perdita di foreste tropicali peggiora le cose, giacché esse aiutano a
mitigare il cambiamento climatico. L’inquinamento prodotto dall’anidride
carbonica aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare
marina. Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone
di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli
ecosistemi, con gravi conseguenze per tutti noi. L’innalzamento del livello del
mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto
che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad
esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere.
25. I cambiamenti climatici sono un problema globale
con gravi implicazioni ambientali, sociali, economiche, distributive e
politiche, e costituiscono una delle principali sfide attuali per l’umanità.
Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi
in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da
fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono
fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema,come
l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità
economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti
climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a
servizi sociali e di tutela. Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine
a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a
sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i quali pure si vedono
obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro
figli. E’ tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado
ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni
internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna
tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste
tragedie, che accadono tuttora in diverse parti del mondo. La mancanza di
reazioni di fronte a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno
della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si
fonda ogni società civile.
26. Molti di coloro che detengono più risorse e potere
economico o politico sembrano concentrarsi soprattutto nel mascherare i
problemi o nasconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti
negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti
potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali modelli di
produzione e di consumo. Perciò è diventato urgente e impellente lo sviluppo di
politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di anidride carbonica e di
altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo
i combustibili fossili e sviluppando fonti di energia rinnovabile. Nel mondo
c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili. C’è ancora
bisogno di sviluppare tecnologie adeguate di accumulazione. Tuttavia, in alcuni
Paesi ci sono stati progressi che cominciano ad essere significativi, benché
siano lontani dal raggiungere una proporzione importante. Ci sono stati anche
alcuni investimenti in modalità di produzione e di trasporto che consumano meno
energia e richiedono minore quantità di materie prime, come pure in modalità di
costruzione o ristrutturazione di edifici che ne migliorino l’efficienza
energetica. Ma queste buone pratiche sono lontane dal diventare generali.
II. LA QUESTIONE DELL’ACQUA
27. Altri indicatori della situazione attuale sono
legati all’esaurimento delle risorse naturali. Conosciamo bene l’impossibilità
di sostenere l’attuale livello di consumo dei Paesi più sviluppati e dei
settori più ricchi delle società, dove l’abitudine di sprecare e buttare via
raggiunge livelli inauditi. Già si sono superati certi limiti massimi di
sfruttamento del pianeta, senza che sia stato risolto il problema della
povertà.
28. L’acqua potabile e pulita rappresenta una
questione di primaria importanza, perché è indispensabile per la vita umana e
per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici. Le fonti di acqua dolce
riforniscono i settori sanitari, agropastorali e industriali. La disponibilità
di acqua è rimasta relativamente costante per lungo tempo, ma ora in molti
luoghi la domanda supera l’offerta sostenibile, con gravi conseguenze a breve e
lungo termine. Grandi città, dipendenti da importanti riserve idriche, soffrono
periodi di carenza della risorsa, che nei momenti critici non viene
amministrata sempre con una adeguata gestione e con imparzialità. La povertà di
acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della
popolazione non accedono all’acqua potabile sicura, o subiscono siccità che
rendono difficile la produzione di cibo. In alcuni Paesi ci sono regioni con
abbondanza di acqua, mentre altre patiscono una grave carenza.
29. Un problema particolarmente serio è quello della
qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni
giorno. Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse
quelle causate da microorganismi e da sostanze chimiche. La dissenteria e il
colera, dovuti a servizi igienici e riserve di acqua inadeguati, sono un
fattore significativo di sofferenza e di mortalità infantile. Le falde
acquifere in molti luoghi sono minacciate dall’inquinamento che producono
alcune attività estrattive, agricole e industriali, soprattutto in Paesi dove
mancano una regolamentazione e dei controlli sufficienti. Non pensiamo solamente
ai rifiuti delle fabbriche. I detergenti e i prodotti chimici che la
popolazione utilizza in molti luoghi del mondo continuano a riversarsi in
fiumi, laghi e mari.
30. Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiore
costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa
risorsa scarsa, trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà,
l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale,
fondamentale e universale, perché determina la sopravvivenza delle persone, e
per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo
mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua
potabile, perché ciòsignifica negare ad essi il diritto alla
vita radicato nella loro inalienabile dignità. Questo debito si salda
in parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizi
di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco di
acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che
possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte
una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della
gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità.
31. Una maggiore scarsità di acqua provocherà
l’aumento del costo degli alimenti e di vari prodotti che dipendono dal suo
uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità di
acqua entro pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali
potrebbero colpire miliardi di persone, e d’altra parte è prevedibile che il
controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una
delle principali fonti di conflitto di questo secolo.[23]
III. PERDITA DI BIODIVERSITÀ
32. Anche le risorse della terra vengono depredate a
causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva
troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica
allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro
risorse estremamente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la
cura di malattie e per molteplici servizi. Le diverse specie contengono geni
che possono essere risorse-chiave per rispondere in futuro a qualche necessità
umana o per risolvere qualche problema ambientale.
33. Ma non basta pensare alle diverse specie solo come
eventuali “risorse” sfruttabili, dimenticando che hanno un valore in sé stesse.
Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più
conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La
stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche
attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio
con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne
abbiamo il diritto.
34. Probabilmente ci turba venire a conoscenza
dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore
visibilità. Ma per il buon funzionamento degli ecosistemi sono necessari anche
i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole
varietà di microorganismi. Alcune specie poco numerose, che di solito passano
inosservate, giocano un ruolo critico fondamentale per stabilizzare
l’equilibrio di un luogo. E’ vero che l’essere umano deve intervenire quando un
geosistema entra in uno stadio critico, ma oggi il livello di intervento umano
in una realtà così complessa come la natura è tale, che i costanti disastri
causati dall’essere umano provocano un suo nuovo intervento, in modo che
l’attività umana diventa onnipresente, con tutti i rischi che questo comporta. Si
viene a creare un circolo vizioso in cui l’intervento dell’essere umano per
risolvere una difficoltà molte volte aggrava ulteriormente la situazione. Per
esempio, molti uccelli e insetti che si estinguono a motivo dei pesticidi
tossici creati dalla tecnologia, sono utili alla stessa agricoltura, e la loro
scomparsa dovrà essere compensata con un altro intervento tecnologico che
probabilmente porterà nuovi effetti nocivi. Sono lodevoli e a volte ammirevoli
gli sforzi di scienziati e tecnici che cercano di risolvere i problemi creati
dall’essere umano. Ma osservando il mondo notiamo che questo livello di
intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà
fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata
e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle
offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti. In questo modo, sembra
che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripetibile e non
recuperabile con un’altra creata da noi.
35. Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche
iniziativa economica, si è soliti considerare gli effetti sul suolo, sull’acqua
e sull’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’impatto sulla
biodiversità, come se la perdita di alcune specie o di gruppi animali o
vegetali fosse qualcosa di poco rilevante. Le strade, le nuove colture, le
recinzioni, i bacini idrici e altre costruzioni, vanno prendendo possesso degli
habitat e a volte li frammentano in modo tale che le popolazioni animali non
possono più migrare né spostarsi liberamente, cosicché alcune specie vanno a
rischio di estinzione. Esistono alternative che almeno mitigano l’impatto di
queste opere, come la creazione di corridoi biologici, ma in pochi Paesi si
riscontra tale cura e tale attenzione. Quando si sfruttano commercialmente
alcune specie, non sempre si studia la loro modalità di crescita, per evitare
la loro eccessiva diminuzione con il conseguente squilibrio dell’ecosistema.
36. La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che
vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico
rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro preservazione. Ma il
costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato
del beneficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o del serio
danneggiamento di alcune specie, stiamo parlando di valori che eccedono
qualunque calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di gravissime
inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al
resto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado
ambientale.
37. Alcuni Paesi hanno fatto progressi nella
conservazione efficace di determinati luoghi e zone – sulla terra e negli
oceani – dove si proibisce ogni intervento umano che possa modificarne la
fisionomia o alterarne la costituzione originale. Nella cura della
biodiversità, gli specialisti insistono sulla necessità di porre una speciale
attenzione alle zone più ricche di varietà di specie, di specie endemiche, poco
frequenti o con minor grado di protezione efficace. Ci sono luoghi che
richiedono una cura particolare a motivo della loro enorme importanza per
l’ecosistema mondiale, o che costituiscono significative riserve di acqua e
così assicurano altre forme di vita.
38. Ricordiamo, per esempio, quei polmoni del pianeta
colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia e il bacino fluviale del Congo, o le
grandi falde acquifere e i ghiacciai. E’ ben nota l’importanza di questi luoghi
per l’insieme del pianeta e per il futuro dell’umanità. Gli ecosistemi delle
foreste tropicali hanno una biodiversità di grande complessità, quasi
impossibile da conoscere completamente, ma quando queste foreste vengono
bruciate o rase al suolo per accrescere le coltivazioni, in pochi anni si
perdono innumerevoli specie, o tali aree si trasformano in aridi deserti.
Tuttavia, un delicato equilibrio si impone quando si parla di questi luoghi,
perché non si possono nemmeno ignorare gli enormi interessi economici internazionali
che, con il pretesto di prendersene cura, possono mettere in pericolo le
sovranità nazionali. Di fatto esistono «proposte di internazionalizzazione
dell’Amazzonia, che servono solo agli interessi economici delle
multinazionali».[24] E’
lodevole l’impegno di organismi internazionali e di organizzazioni della
società civile che sensibilizzano le popolazioni e cooperano in modo critico,
anche utilizzando legittimi meccanismi di pressione, affinché ogni governo
adempia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le
risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o
internazionali.
39. Neppure la sostituzione della flora selvatica con
aree piantate a bosco, che generalmente sono monocolture, è solitamente oggetto
di un’adeguata analisi. In realtà essa può colpire gravemente una biodiversità
che non è albergata dalle nuove specie che si piantano. Anche le zone umide,
che vengono trasformate in terreno agricolo, perdono l’enorme biodiversità che
ospitavano. In alcune zone costiere è preoccupante la scomparsa degli
ecosistemi costituiti da mangrovie.
40. Gli oceani non solo contengono la maggior parte
dell’acqua del pianeta, ma anche la maggior parte della vasta varietà di esseri
viventi, molti dei quali ancora a noi sconosciuti e minacciati da diverse
cause. D’altra parte, la vita nei fiumi, nei laghi, nei mari e negli oceani,
che nutre gran parte della popolazione mondiale, si vede colpita dal prelievo
incontrollato delle risorse ittiche, che provoca diminuzioni drastiche di
alcune specie. Ancora si continua a sviluppare modalità selettive di pesca che
scartano gran parte delle specie raccolte. Sono particolarmente minacciati
organismi marini che non teniamo in considerazione, come certe forme diplancton che
costituiscono una componente molto importante nella catena alimentare marina, e
dalle quali dipendono, in definitiva, specie che si utilizzano per
l’alimentazione umana.
41. Addentrandoci nei mari tropicali e subtropicali,
incontriamo le barriere coralline, che corrispondono alle grandi foreste della
terraferma, perché ospitano approssimativamente un milione di specie, compresi
pesci, granchi, molluschi, spugne, alghe. Molte delle barriere coralline del
mondo oggi sono sterili o sono in continuo declino: «Chi ha trasformato il
meraviglioso mondo marino in cimiteri subacquei spogliati di vita e di
colore?».[25] Questo
fenomeno è dovuto in gran parte all’inquinamento che giunge al mare come
risultato della deforestazione, delle monoculture agricole, dei rifiuti
industriali e di metodi distruttivi di pesca, specialmente quelli che
utilizzano il cianuro e la dinamite. E’ aggravato dall’aumento della
temperatura degli oceani. Tutto questo ci aiuta a capire come qualunque azione
sulla natura può avere conseguenze che non avvertiamo a prima vista, e che
certe forme di sfruttamento delle risorse si ottengono a costo di un degrado
che alla fine giunge fino in fondo agli oceani.
42. E’ necessario investire molto di più nella
ricerca, per comprendere meglio il comportamento degli ecosistemi e analizzare
adeguatamente le diverse variabili di impatto di qualsiasi modifica importante
dell’ambiente. Poiché tutte le creature sono connesse tra loro, di ognuna
dev’essere riconosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri
creati abbiamo bisogno gli uni degli altri. Ogni territorio ha una
responsabilità nella cura di questa famiglia, per cui dovrebbe fare un accurato
inventario delle specie che ospita, in vista di sviluppare programmi e
strategie di protezione, curando con particolare attenzione le specie in via di
estinzione.
IV. DETERIORAMENTO DELLA QUALITÀ DELLA VITA UMANA E
DEGRADAZIONE SOCIALE
43. Se teniamo conto del fatto che anche l’essere
umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere
felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di
considerare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di
sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone.
44. Oggi riscontriamo, per esempio, la smisurata e
disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di
vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emissioni
tossiche, ma anche per il caos urbano, i problemi di trasporto e l’inquinamento
visivo e acustico. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano
in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati
costruiti di recente, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi
sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più
sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con
la natura.
45. In alcuni luoghi, rurali e urbani, la
privatizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei cittadini a zone di
particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri residenziali “ecologici”
solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di evitare che altri entrino a
disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si trova una città bella e piena
di spazi verdi ben curati in alcune aree “sicure”, ma non altrettanto in zone
meno visibili, dove vivono gli scartati della società.
46. Tra le componenti sociali del cambiamento globale
si includono gli effetti occupazionali di alcune innovazioni tecnologiche,
l’esclusione sociale, la disuguaglianza nella disponibilità e nel consumo
dell’energia e di altri servizi, la frammentazione sociale, l’aumento della
violenza e il sorgere di nuove forme di aggressività sociale, il narcotraffico
e il consumo crescente di droghe fra i più giovani, la perdita di identità.
Sono segni, tra gli altri, che mostrano come la crescita degli ultimi due
secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progresso integrale e
un miglioramento della qualità della vita. Alcuni di questi segni sono allo
stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una silenziosa rottura dei
legami di integrazione e di comunione sociale.
47. A questo si aggiungono le dinamiche dei media e
del mondo digitale, che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo
sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in profondità, di
amare con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto,
correrebbero il rischio divedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore
dispersivo dell’informazione. Questo ci richiede uno sforzo affinché tali mezzi
si traducano in un nuovo sviluppo culturale dell’umanità e non in un
deterioramento della sua ricchezza più profonda. La vera sapienza, frutto della
riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si
acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e
confondere, in una specie di inquinamento mentale. Nello stesso tempo, le
relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad
essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permette
di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si
genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più
con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. I mezzi attuali
permettono che comunichiamo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti.
Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto con
l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della
sua esperienza personale. Per questo non dovrebbe stupire il fatto che, insieme
all’opprimente offerta di questi prodotti, vada crescendo una profonda e
malinconica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso
isolamento.
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