CAPITOLO QUARTO
UN’ECOLOGIA INTEGRALE
137. Dal momento che tutto è intimamente relazionato e
che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli
aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui
diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda
chiaramente le dimensioni umane e sociali.
I. ECOLOGIA AMBIENTALE, ECONOMICA E SOCIALE
138. L’ecologia studia le relazioni tra gli organismi
viventi e l’ambiente in cui si sviluppano. Essa esige anche di fermarsi a
pensare e a discutere sulle condizioni di vita e di sopravvivenza di una
società, con l’onestà di mettere in dubbio modelli di sviluppo, produzione e
consumo. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è
connesso. Il tempo e lo spazio non sono tra loro indipendenti, e neppure gli
atomi o le particelle subatomiche si possono considerare separatamente. Come i
diversi componenti del pianeta – fisici, chimici e biologici – sono relazionati
tra loro, così anche le specie viventi formano una rete che non finiamo mai di
riconoscere e comprendere. Buona parte della nostra informazione genetica è
condivisa con molti esseri viventi. Per tale ragione, le conoscenze
frammentarie e isolate possono diventare una forma d’ignoranza se fanno
resistenza ad integrarsi in una visione più ampia della realtà.
139. Quando parliamo di “ambiente” facciamo
riferimento anche a una particolare relazione: quella tra la natura e la
società che la abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come
qualcosa di separato da noi o come una mera cornice della nostra vita. Siamo
inclusi in essa, siamo parte di essa e ne siamo compenetrati. Le ragioni per le
quali un luogo viene inquinato richiedono un’analisi del funzionamento della
società, della sua economia, del suo comportamento, dei suoi modi di
comprendere la realtà. Data l’ampiezza dei cambiamenti, non è più possibile
trovare una risposta specifica e indipendente per ogni singola parte del
problema. È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le
interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono
due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e
complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un
approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli
esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura.
140. A causa della quantità e varietà degli elementi
di cui tenere conto, al momento di determinare l’impatto ambientale di una
concreta attività d’impresa diventa indispensabile dare ai ricercatori un ruolo
preminente e facilitare la loro interazione, con ampia libertà accademica. Questa
ricerca costante dovrebbe permettere di riconoscere anche come le diverse
creature si relazionano, formando quelle unità più grandi che oggi chiamiamo
“ecosistemi”. Non li prendiamo in considerazione solo per determinare quale sia
il loro uso ragionevole, ma perché possiedono un valore intrinseco indipendente
da tale uso. Come ogni organismo è buono e mirabile in sé stesso per il fatto
di essere una creatura di Dio, lo stesso accade con l’insieme armonico di
organismi in uno spazio determinato, che funziona come un sistema. Anche se non
ne abbiamo coscienza, dipendiamo da tale insieme per la nostra stessa
esistenza. Occorre ricordare che gli ecosistemi intervengono nel sequestro
dell’anidride carbonica, nella purificazione dell’acqua, nel contrasto di malattie
e infestazioni, nella composizione del suolo, nella decomposizione dei rifiuti
e in moltissimi altri servizi che dimentichiamo o ignoriamo. Quando si rendono
conto di questo, molte persone prendono nuovamente coscienza del fatto che
viviamo e agiamo a partire da una realtà che ci è stata previamente donata, che
è anteriore alle nostre capacità e alla nostra esistenza. Perciò, quando si
parla di “uso sostenibile” bisogna sempre introdurre una considerazione sulla
capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e
aspetti.
141. D’altra parte, la crescita economica tende a
produrre automatismi e ad omogeneizzare, al fine di semplificare i processi e
ridurre i costi. Per questo è necessaria un’ecologia economica, capace di
indurre a considerare la realtà in maniera più ampia. Infatti, «la protezione
dell’ambiente dovrà costituire parte integrante del processo di sviluppo e non
potrà considerarsi in maniera isolata».[114] Ma
nello stesso tempo diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che
fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più
integrale e integrante. Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile
dall’analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani, e dalla
relazione di ciascuna persona con sé stessa, che genera un determinato modo di
relazionarsi con gli altri e con l’ambiente. C’è una interazione tra gli
ecosistemi e tra i diversi mondi di riferimento sociale, e così si dimostra
ancora una volta che «il tutto è superiore alla parte».[115]
142. Se tutto è in relazione, anche lo stato di salute
delle istituzioni di una società comporta conseguenze per l’ambiente e per la
qualità della vita umana: «Ogni lesione della solidarietà e dell’amicizia
civica provoca danni ambientali».[116] In
tal senso, l’ecologia sociale è necessariamente istituzionale e raggiunge
progressivamente le diverse dimensioni che vanno dal gruppo sociale primario,
la famiglia, fino alla vita internazionale, passando per la comunità locale e
la Nazione. All’interno di ciascun livello sociale e tra di essi, si sviluppano
le istituzioni che regolano le relazioni umane. Tutto ciò che le danneggia
comporta effetti nocivi, come la perdita della libertà, l’ingiustizia e la
violenza. Diversi Paesi sono governati da un sistema istituzionale precario, a
costo delle sofferenze della popolazione e a beneficio di coloro che lucrano su
questo stato di cose. Tanto all’interno dell’amministrazione dello Stato,
quanto nelle diverse espressioni della società civile, o nelle relazioni degli
abitanti tra loro, si registrano con eccessiva frequenza comportamenti
illegali. Le leggi possono essere redatte in forma corretta, ma spesso
rimangono come lettera morta. Si può dunque sperare che la legislazione e le
normative relative all’ambiente siano realmente efficaci? Sappiamo, per
esempio, che Paesi dotati di una legislazione chiara per la protezione delle
foreste, continuano a rimanere testimoni muti della sua frequente violazione.
Inoltre, ciò che accade in una regione esercita, direttamente o indirettamente,
influenze sulle altre regioni. Così per esempio, il consumo di droghe nelle
società opulente provoca una costante o crescente domanda di prodotti che
provengono da regioni impoverite, dove si corrompono i comportamenti, si
distruggono vite e si finisce col degradare l’ambiente.
II. ECOLOGIA CULTURALE
143. Insieme al patrimonio naturale, vi è un
patrimonio storico, artistico e culturale, ugualmente minacciato. È parte
dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile. Non
si tratta di distruggere e di creare nuove città ipoteticamente più ecologiche,
dove non sempre risulta desiderabile vivere. Bisogna integrare la storia, la
cultura e l’architettura di un determinato luogo, salvaguardandone l’identità
originale. Perciò l’ecologia richiede anche la cura delle ricchezze culturali
dell’umanità nel loro significato più ampio. In modo più diretto, chiede di
prestare attenzione alle culture locali nel momento in cui si analizzano
questioni legate all’ambiente, facendo dialogare il linguaggio
tecnico-scientifico con il linguaggio popolare. È la cultura non solo intesa
come i monumenti del passato, ma specialmente nel suo senso vivo, dinamico e
partecipativo, che non si può escludere nel momento in cui si ripensa la
relazione dell’essere umano con l’ambiente.
144. La visione consumistica dell’essere umano,
favorita dagli ingranaggi dell’attuale economia globalizzata, tende a rendere
omogenee le culture e a indebolire l’immensa varietà culturale, che è un tesoro
dell’umanità. Per tale ragione, pretendere di risolvere tutte le difficoltà
mediante normative uniformi o con interventi tecnici, porta a trascurare la
complessità delle problematiche locali, che richiedono la partecipazione attiva
degli abitanti. I nuovi processi in gestazione non possono sempre essere
integrati entro modelli stabiliti dall’esterno ma provenienti dalla stessa
cultura locale. Così come la vita e il mondo sono dinamici, la cura del mondo
dev’essere flessibile e dinamica. Le soluzioni meramente tecniche corrono il
rischio di prendere in considerazione sintomi che non corrispondono alle
problematiche più profonde. È necessario assumere la prospettiva dei diritti
dei popoli e delle culture, e in tal modo comprendere che lo sviluppo di un
gruppo sociale suppone un processo storico all’interno di un contesto culturale
e richiede il costante protagonismo degli attori sociali locali a
partire dalla loro propria cultura. Neppure la nozione di qualità della
vita si può imporre, ma dev’essere compresa all’interno del mondo di simboli e
consuetudini propri di ciascun gruppo umano.
145. Molte forme di intenso sfruttamento e degrado
dell’ambiente possono esaurire non solo i mezzi di sussistenza locali, ma anche
le risorse sociali che hanno consentito un modo di vivere che per lungo tempo
ha sostenuto un’identità culturale e un senso dell’esistenza e del vivere
insieme. La scomparsa di una cultura può essere grave come o più della
scomparsa di una specie animale o vegetale. L’imposizione di uno stile
egemonico di vita legato a un modo di produzione può essere tanto nocivo quanto
l’alterazione degli ecosistemi.
146. In questo senso, è indispensabile prestare
speciale attenzione alle comunità aborigene con le loro tradizioni culturali.
Non sono una semplice minoranza tra le altre, ma piuttosto devono diventare i
principali interlocutori, soprattutto nel momento in cui si procede con grandi
progetti che interessano i loro spazi. Per loro, infatti, la terra non è un
bene economico, ma un dono di Dio e degli antenati che in essa riposano, uno
spazio sacro con il quale hanno il bisogno di interagire per alimentare la loro
identità e i loro valori. Quando rimangono nei loro territori, sono quelli che
meglio se ne prendono cura. Tuttavia, in diverse parti del mondo, sono oggetto
di pressioni affinché abbandonino le loro terre e le lascino libere per
progetti estrattivi, agricoli o di allevamento che non prestano attenzione al
degrado della natura e della cultura.
III. ECOLOGIA DELLA VITA QUOTIDIANA
147. Per poter parlare di autentico sviluppo,
occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità
della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge
l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro
modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra
stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere
facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di
adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato, caotico o saturo di
inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri
tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice.
148. E’ ammirevole la creatività e la generosità di
persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente,
modificando gli effetti avversi dei condizionamenti, e imparando ad orientare
la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà. Per esempio, in
alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono
persone che curano con molta dignità l’interno delle loro abitazioni, o si
sentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia della gente. La vita sociale
positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in un ambiente a prima vista
invivibile. A volte è encomiabile l’ecologia umana che riescono a sviluppare i
poveri in mezzo a tante limitazioni. La sensazione di soffocamento prodotta
dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa,
viene contrastata se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si
creano comunità, se i limiti ambientali sono compensati nell’interiorità di
ciascuna persona, che si sente inserita in una rete di comunione e di
appartenenza. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e
diventa il contesto di una vita degna.
149. E’ provato inoltre che l’estrema penuria che si
vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità
d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la
manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli
abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di
passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città,
può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti
antisociali e violenza. Tuttavia mi preme ribadire che l’amore è più forte.
Tante persone, in queste condizioni, sono capaci di tessere legami di
appartenenza e di convivenza che trasformano l’affollamento in un’esperienza
comunitaria in cui si infrangono le pareti dell’io e si superano le barriere dell’egoismo.
Questa esperienza di salvezza comunitaria è ciò che spesso suscita reazioni
creative per migliorare un edificio o un quartiere.[117]
150. Data l’interrelazione tra gli spazi urbani e il
comportamento umano, coloro che progettano edifici, quartieri, spazi pubblici e
città, hanno bisogno del contributo di diverse discipline che permettano di
comprendere i processi, il simbolismo e i comportamenti delle persone. Non
basta la ricerca della bellezza nel progetto, perché ha ancora più valore
servire un altro tipo di bellezza: la qualità della vita delle persone, la loro
armonia con l’ambiente, l’incontro e l’aiuto reciproco. Anche per questo è
tanto importante che il punto di vista degli abitanti del luogo contribuisca
sempre all’analisi della pianificazione urbanistica.
151. E’ necessario curare gli spazi pubblici, i quadri
prospettici e i punti di riferimento urbani che accrescono il nostro senso si
appartenenza, la nostra sensazione di radicamento, il nostro “sentirci a casa”
all’interno della città che ci contiene e ci unisce. È importante che le
diverse parti di una città siano ben integrate e che gli abitanti possano avere
una visione d’insieme invece di rinchiudersi in un quartiere, rinunciando a
vivere la città intera come uno spazio proprio condiviso con gli altri. Ogni
intervento nel paesaggio urbano o rurale dovrebbe considerare come i diversi elementi
del luogo formino un tutto che è percepito dagli abitanti come un quadro
coerente con la sua ricchezza di significati. In tal modo gli altri cessano di
essere estranei e li si può percepire come parte di un “noi” che costruiamo
insieme. Per questa stessa ragione, sia nell’ambiente urbano sia in quello
rurale, è opportuno preservare alcuni spazi nei quali si evitino interventi
umani che li modifichino continuamente.
152. La mancanza di alloggi è grave in molte parti del
mondo, tanto nelle zone rurali quanto nelle grandi città, anche perché i
bilanci statali di solito coprono solo una piccola parte della domanda. Non
soltanto i poveri, ma una gran parte della società incontra serie difficoltà ad
avere una casa propria. La proprietà della casa ha molta importanza per la
dignità delle persone e per lo sviluppo delle famiglie. Si tratta di una
questione centrale dell’ecologia umana. Se in un determinato luogo si sono già
sviluppati agglomerati caotici di case precarie, si tratta anzitutto di
urbanizzare tali quartieri, non di sradicarne ed espellerne gli abitanti.
Quando i poveri vivono in sobborghi inquinati o in agglomerati pericolosi, «nel
caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a
sofferenza, è necessario fornire un’adeguata e previa informazione, offrire
alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati».[118] Nello
stesso tempo, la creatività dovrebbe portare ad integrare i quartieri disagiati
all’interno di una città accogliente. «Come sono belle le città che superano la
sfiducia malsana e integrano i differenti e che fanno di tale integrazione un
nuovo fattore di sviluppo! Come sono belle le città che, anche nel loro disegno
architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione,
favoriscono il riconoscimento dell’altro!».[119]
153. La qualità della vita nelle città è legata in
larga parte ai trasporti, che sono spesso causa di grandi sofferenze per gli
abitanti. Nelle città circolano molte automobili utilizzate da una o due
persone, per cui il traffico diventa intenso, si alza il livello
d’inquinamento, si consumano enormi quantità di energia non rinnovabile e
diventa necessaria la costruzione di più strade e parcheggi, che danneggiano il
tessuto urbano. Molti specialisti concordano sulla necessità di dare priorità
al trasporto pubblico. Tuttavia alcune misure necessarie difficilmente saranno
accettate in modo pacifico dalla società senza un miglioramento sostanziale di
tale trasporto, che in molte città comporta un trattamento indegno delle
persone a causa dell’affollamento, della scomodità o della scarsa frequenza dei
servizi e dell’insicurezza.
154. Il riconoscimento della peculiare dignità
dell’essere umano molte volte contrasta con la vita caotica che devono condurre
le persone nelle nostre città. Questo però non dovrebbe far dimenticare lo
stato di abbandono e trascuratezza che soffrono anche alcuni abitanti delle
zone rurali, dove non arrivano i servizi essenziali e ci sono lavoratori
ridotti in condizione di schiavitù, senza diritti né aspettative di una vita
più dignitosa.
155. L’ecologia umana implica anche qualcosa di molto
profondo: la necessaria relazione della vita dell’essere umano con la legge
morale inscritta nella sua propria natura, relazione indispensabile per poter
creare un ambiente più dignitoso. Affermava Benedetto XVI che esiste una
«ecologia dell’uomo» perché «anche l’uomo possiede una natura che deve
rispettare e che non può manipolare a piacere».[120] In
questa linea, bisogna riconoscere che il nostro corpo ci pone in una relazione
diretta con l’ambiente e con gli altri esseri viventi. L’accettazione del
proprio corpo come dono di Dio è necessaria per accogliere e accettare il mondo
intero come dono del Padre e casa comune; invece una logica di dominio sul
proprio corpo si trasforma in una logica a volte sottile di dominio sul creato.
Imparare ad accogliere il proprio corpo, ad averne cura e a rispettare i suoi
significati è essenziale per una vera ecologia umana. Anche apprezzare il
proprio corpo nella sua femminilità o mascolinità è necessario per poter
riconoscere sé stessi nell’incontro con l’altro diverso da sé. In tal modo è
possibile accettare con gioia il dono specifico dell’altro o dell’altra, opera
di Dio creatore, e arricchirsi reciprocamente. Pertanto, non è sano un
atteggiamento che pretenda di «cancellare la differenza sessuale perché non sa
più confrontarsi con essa».[121]
IV. IL PRINCIPIO DEL BENE COMUNE
156. L’ecologia umana è inseparabile dalla nozione di
bene comune, un principio che svolge un ruolo centrale e unificante nell’etica
sociale. E’ «l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono
tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione
più pienamente e più speditamente».[122]
157. Il bene comune presuppone il rispetto della
persona umana in quanto tale, con diritti fondamentali e inalienabili ordinati
al suo sviluppo integrale. Esige anche i dispositivi di benessere e sicurezza
sociale e lo sviluppo dei diversi gruppi intermedi, applicando il principio di
sussidiarietà. Tra questi risalta specialmente la famiglia, come cellula
primaria della società. Infine, il bene comune richiede la pace sociale, vale a
dire la stabilità e la sicurezza di un determinato ordine, che non si realizza
senza un’attenzione particolare alla giustizia distributiva, la cui violazione
genera sempre violenza. Tutta la società – e in essa specialmente lo Stato – ha
l’obbligo di difendere e promuovere il bene comune.
158. Nelle condizioni attuali della società mondiale,
dove si riscontrano tante inequità e sono sempre più numerose le persone che
vengono scartate, private dei diritti umani fondamentali, il principio del bene
comune si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in
un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri.
Questa opzione richiede di trarre le conseguenze della destinazione comune dei
beni della terra, ma, come ho cercato di mostrare nell’Esortazione apostolicaEvangelii gaudium,[123] esige
di contemplare prima di tutto l’immensa dignità del povero alla luce delle più
profonde convinzioni di fede. Basta osservare la realtà per comprendere che
oggi questa opzione è un’esigenza etica fondamentale per l’effettiva
realizzazione del bene comune.
V. LA GIUSTIZIA TRA LE GENERAZIONI
159. La nozione di bene comune coinvolge anche le
generazioni future. Le crisi economiche internazionali hanno mostrato con
crudezza gli effetti nocivi che porta con sé il disconoscimento di un destino
comune, dal quale non possono essere esclusi coloro che verranno dopo di noi.
Ormai non si può parlare di sviluppo sostenibile senza una solidarietà fra le
generazioni. Quando pensiamo alla situazione in cui si lascia il pianeta alle
future generazioni, entriamo in un’altra logica, quella del dono gratuito che
riceviamo e comunichiamo. Se la terra ci è donata, non possiamo più pensare
soltanto a partire da un criterio utilitarista di efficienza e produttività per
il profitto individuale. Non stiamo parlando di un atteggiamento opzionale,
bensì di una questione essenziale di giustizia, dal momento che la terra che
abbiamo ricevuto appartiene anche a coloro che verranno. I Vescovi del
Portogallo hanno esortato ad assumere questo dovere di giustizia: «L’ambiente
si situa nella logica del ricevere. È un prestito che ogni generazione riceve e
deve trasmettere alla generazione successiva».[124] Un’ecologia
integrale possiede tale visione ampia.
160. Che tipo di mondo desideriamo trasmettere a
coloro che verranno dopo di noi, ai bambini che stanno crescendo? Questa
domanda non riguarda solo l’ambiente in modo isolato, perché non si può porre
la questione in maniera parziale. Quando ci interroghiamo circa il mondo che
vogliamo lasciare ci riferiamo soprattutto al suo orientamento generale, al suo
senso, ai suoi valori. Se non pulsa in esse questa domanda di fondo, non credo
che le nostre preoccupazioni ecologiche possano ottenere effetti importanti. Ma
se questa domanda viene posta con coraggio, ci conduce inesorabilmente ad altri
interrogativi molto diretti: A che scopo passiamo da questo mondo? Per quale
fine siamo venuti in questa vita? Per che scopo lavoriamo e lottiamo? Perché
questa terra ha bisogno di noi? Pertanto, non basta più dire che dobbiamo
preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che
c’è in gioco è la dignità di noi stessi. Siamo noi i primi interessati a
trasmettere un pianeta abitabile per l’umanità che verrà dopo di noi. È un
dramma per noi stessi, perché ciò chiama in causa il significato del nostro
passaggio su questa terra.
161. Le previsioni catastrofiche ormai non si possono
più guardare con disprezzo e ironia. Potremmo lasciare alle prossime
generazioni troppe macerie, deserti e sporcizia. Il ritmo di consumo, di spreco
e di alterazione dell’ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in
maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare
solamente in catastrofi, come di fatto sta già avvenendo periodicamente in
diverse regioni. L’attenuazione degli effetti dell’attuale squilibrio dipende
da ciò che facciamo ora, soprattutto se pensiamo alla responsabilità che ci
attribuiranno coloro che dovranno sopportare le peggiori conseguenze.
162. La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è
legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico.
L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di
diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono
da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata,
con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere
l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei
genitori che danneggia i figli, che trovano sempre più difficoltà ad acquistare
una casa propria e a fondare una famiglia. Inoltre, questa incapacità di
pensare seriamente alle future generazioni è legata alla nostra incapacità di
ampliare l’orizzonte delle nostre preoccupazioni e pensare a quanti rimangono
esclusi dallo sviluppo. Non perdiamoci a immaginare i poveri del futuro, è
sufficiente che ricordiamo i poveri di oggi, che hanno pochi anni da vivere su
questa terra e non possono continuare ad aspettare. Perciò, «oltre alla leale
solidarietà intergenerazionale, occorre reiterare l’urgente necessità morale di
una rinnovata solidarietà intragenerazionale».[125]
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