CAPITOLO TERZO
LA RADICE UMANA DELLA CRISI ECOLOGICA
101. A nulla ci servirà descrivere i sintomi, se non
riconosciamo la radice umana della crisi ecologica. Vi è un modo di comprendere
la vita e l’azione umana che è deviato e che contraddice la realtà fino al
punto di rovinarla. Perché non possiamo fermarci a riflettere su questo?
Propongo pertanto di concentrarci sul paradigma tecnocratico dominante e sul
posto che vi occupano l’essere umano e la sua azione nel mondo.
I. LA TECNOLOGIA: CREATIVITÀ E POTERE
102. L’umanità è entrata in una nuova era in cui la
potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio. Siamo gli eredi di due
secoli di enormi ondate di cambiamento: la macchina a vapore, la ferrovia, il
telegrafo, l’elettricità, l’automobile, l’aereo, le industrie chimiche, la
medicina moderna, l’informatica e, più recentemente, la rivoluzione digitale,
la robotica, le biotecnologie e le nanotecnologie. È giusto rallegrarsi per
questi progressi ed entusiasmarsi di fronte alle ampie possibilità che ci
aprono queste continue novità, perché «la scienza e la tecnologia sono un
prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio».[81]La
trasformazione della natura a fini di utilità è una caratteristica del genere
umano fin dai suoi inizi, e in tal modo la tecnica «esprime la tensione
dell’animo umano verso il graduale superamento di certi condizionamenti
materiali».[82] La
tecnologia ha posto rimedio a innumerevoli mali che affliggevano e limitavano
l’essere umano. Non possiamo non apprezzare e ringraziare per i progressi
conseguiti, specialmente nella medicina, nell’ingegneria e nelle comunicazioni.
E come non riconoscere tutti gli sforzi di molti scienziati e tecnici che hanno
elaborato alternative per uno sviluppo sostenibile?
103. La tecnoscienza, ben orientata, è in grado non
solo di produrre cose realmente preziose per migliorare la qualità della vita
dell’essere umano, a partire dagli oggetti di uso domestico fino ai grandi
mezzi di trasporto, ai ponti, agli edifici, agli spazi pubblici. È anche capace
di produrre il bello e di far compiere all’essere umano, immerso nel mondo
materiale, il “salto” nell’ambito della bellezza. Si può negare la bellezza di
un aereo, o di alcuni grattacieli? Vi sono preziose opere pittoriche e musicali
ottenute mediante il ricorso ai nuovi strumenti tecnici. In tal modo, nel
desiderio di bellezza dell’artefice e in chi quella bellezza contempla si
compie il salto verso una certa pienezza propriamente umana.
104. Tuttavia non possiamo ignorare che l’energia
nucleare, la biotecnologia, l’informatica, la conoscenza del nostro stesso DNA
e altre potenzialità che abbiamo acquisito ci offrono un tremendo potere. Anzi,
danno a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il potere economico per
sfruttarla un dominio impressionante sull’insieme del genere umano e del mondo
intero. Mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce
che lo utilizzerà bene, soprattutto se si considera il modo in cui se ne sta
servendo. Basta ricordare le bombe atomiche lanciate in pieno XX secolo, come
il grande spiegamento di tecnologia ostentato dal nazismo, dal comunismo e da
altri regimi totalitari al servizio dello sterminio di milioni di persone,
senza dimenticare che oggi la guerra dispone di strumenti sempre più micidiali.
In quali mani sta e in quali può giungere tanto potere? È terribilmente
rischioso che esso risieda in una piccola parte dell’umanità.
105. Si tende a credere che «ogni acquisto di potenza
sia semplicemente progresso, accrescimento di sicurezza, di utilità, di
benessere, di forza vitale, di pienezza di valori»,[83] come
se la realtà, il bene e la verità sbocciassero spontaneamente dal potere stesso
della tecnologia e dell’economia. Il fatto è che «l’uomo moderno non è stato
educato al retto uso della potenza»,[84] perché
l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo
dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la
coscienza. Ogni epoca tende a sviluppare una scarsa autocoscienza dei propri
limiti. Per tale motivo è possibile che oggi l’umanità non avverta la serietà
delle sfide che le si presentano, e «la possibilità dell’uomo di usare male
della sua potenza è in continuo aumento» quando «non esistono norme di libertà,
ma solo pretese necessità di utilità e di sicurezza».[85] L’essere
umano non è pienamente autonomo. La sua libertà si ammala quando si consegna
alle forze cieche dell’inconscio, dei bisogni immediati, dell’egoismo, della
violenza brutale. In tal senso, è nudo ed esposto di fronte al suo stesso
potere che continua a crescere, senza avere gli strumenti per controllarlo. Può
disporre di meccanismi superficiali, ma possiamo affermare che gli mancano
un’etica adeguatamente solida, una cultura e una spiritualità che realmente gli
diano un limite e lo contengano entro un lucido dominio di sé.
II. LA GLOBALIZZAZIONE DEL PARADIGMA TECNOCRATICO
106. Il problema fondamentale è un altro, ancora più
profondo: il modo in cui di fatto l’umanità ha assunto la tecnologia e il suo
sviluppo insieme ad un paradigma omogeneo e unidimensionale. In
tale paradigma risalta una concezione del soggetto che progressivamente, nel
processo logico-razionale, comprende e in tal modo possiede l’oggetto che si
trova all’esterno. Tale soggetto si esplica nello stabilire il metodo
scientifico con la sua sperimentazione, che è già esplicitamente una tecnica di
possesso, dominio e trasformazione. È come se il soggetto si trovasse di fronte
alla realtà informe totalmente disponibile alla sua manipolazione. L’intervento
dell’essere umano sulla natura si è sempre verificato, ma per molto tempo ha
avuto la caratteristica di accompagnare, di assecondare le possibilità offerte
dalle cose stesse. Si trattava di ricevere quello che la realtà naturale da sé
permette, come tendendo la mano. Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto
quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che
tende ad ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per
questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano,
diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all’idea di una
crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i
teorici della finanza e della tecnologia. Ciò suppone la menzogna circa la
disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a “spremerlo” fino al
limite e oltre il limite. Si tratta del falso presupposto che «esiste una
quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata
rigenerazione è possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della
natura possono essere facilmente assorbiti».[86]
107. Possiamo perciò affermare che all’origine di molte
difficoltà del mondo attuale vi è anzitutto la tendenza, non sempre cosciente,
a impostare la metodologia e gli obiettivi della tecnoscienza secondo un
paradigma di comprensione che condiziona la vita delle persone e il
funzionamento della società. Gli effetti dell’applicazione di questo modello a
tutta la realtà, umana e sociale, si constatano nel degrado dell’ambiente, ma
questo è solo un segno del riduzionismo che colpisce la vita umana e la società
in tutte le loro dimensioni. Occorre riconoscere che i prodotti della tecnica
non sono neutri, perché creano una trama che finisce per condizionare gli stili
di vita e orientano le possibilità sociali nella direzione degli interessi di
determinati gruppi di potere. Certe scelte che sembrano puramente strumentali,
in realtà sono scelte attinenti al tipo di vita sociale che si intende
sviluppare.
108. Non si può pensare di sostenere un altro
paradigma culturale e servirsi della tecnica come di un mero strumento, perché
oggi il paradigma tecnocratico è diventato così dominante, che è molto
difficile prescindere dalle sue risorse, e ancora più difficile è utilizzare le
sue risorse senza essere dominati dalla sua logica. È diventato
contro-culturale scegliere uno stile di vita con obiettivi che almeno in parte possano
essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere
globalizzante e massificante. Di fatto la tecnica ha una tendenza a far sì che
nulla rimanga fuori dalla sua ferrea logica, e «l’uomo che ne è il protagonista
sa che, in ultima analisi, non si tratta né di utilità, né di benessere, ma di
dominio; dominio nel senso estremo della parola».[87] Per
questo «cerca di afferrare gli elementi della natura ed insieme quelli
dell’esistenza umana».[88] Si
riducono così la capacità di decisione, la libertà più autentica e lo spazio
per la creatività alternativa degli individui.
109. Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il
proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo
tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione a eventuali
conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale.
Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta
lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si
sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi
ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non
accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno
semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie
economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento
nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole
lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto
livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura
responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro
comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei profitti è
sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale
e l’inclusione sociale.[89] Nel
frattempo, abbiamo una «sorta di supersviluppo dissipatore e consumistico che
contrasta in modo inaccettabile con perduranti situazioni di miseria
disumanizzante»,[90] mentre
non si mettono a punto con sufficiente celerità istituzioni economiche e
programmi sociali che permettano ai più poveri di accedere in modo regolare
alle risorse di base. Non ci si rende conto a sufficienza di quali sono le
radici più profonde degli squilibri attuali, che hanno a che vedere con
l’orientamento, i fini, il senso e il contesto sociale della crescita
tecnologica ed economica.
110. La specializzazione propria della tecnologia
implica una notevole difficoltà ad avere uno sguardo d’insieme. La
frammentazione del sapere assolve la propria funzione nel momento di ottenere
applicazioni concrete, ma spesso conduce a perdere il senso della totalità,
delle relazioni che esistono tra le cose, dell’orizzonte ampio, senso che
diventa irrilevante. Questo stesso fatto impedisce di individuare vie adeguate
per risolvere i problemi più complessi del mondo attuale, soprattutto quelli dell’ambiente
e dei poveri, che non si possono affrontare a partire da un solo punto di vista
o da un solo tipo di interessi. Una scienza che pretenda di offrire soluzioni
alle grandi questioni, dovrebbe necessariamente tener conto di tutto ciò che la
conoscenza ha prodotto nelle altre aree del sapere, comprese la filosofia e
l’etica sociale. Ma questo è un modo di agire difficile da portare avanti oggi.
Perciò non si possono nemmeno riconoscere dei veri orizzonti etici di
riferimento. La vita diventa un abbandonarsi alle circostanze condizionate
dalla tecnica, intesa come la principale risorsa per interpretare l’esistenza.
Nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano
l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso della vita
e del vivere insieme. Si dimostra così ancora una volta che «la realtà è
superiore all’idea».[91]
111. La cultura ecologica non si può ridurre a una
serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al
degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento.
Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma
educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una
resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico. Diversamente,
anche le migliori iniziative ecologiste possono finire rinchiuse nella stessa
logica globalizzata. Cercare solamente un rimedio tecnico per ogni problema
ambientale che si presenta, significa isolare cose che nella realtà sono
connesse, e nascondere i veri e più profondi problemi del sistema mondiale.
112. E’ possibile, tuttavia, allargare nuovamente lo
sguardo, e la libertà umana è capace di limitare la tecnica, di orientarla, e
di metterla al servizio di un altro tipo di progresso, più sano, più umano, più
sociale e più integrale. La liberazione dal paradigma tecnocratico imperante
avviene di fatto in alcune occasioni. Per esempio, quando comunità di piccoli
produttori optano per sistemi di produzione meno inquinanti, sostenendo un
modello di vita, di felicità e di convivialità non consumistico. O quando la
tecnica si orienta prioritariamente a risolvere i problemi concreti degli
altri, con l’impegno di aiutarli a vivere con più dignità e meno sofferenze. E
ancora quando la ricerca creatrice del bello e la sua contemplazione riescono a
superare il potere oggettivante in una sorta di salvezza che si realizza nel
bello e nella persona che lo contempla. L’autentica umanità, che invita a una
nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi
impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa. Sarà una
promessa permanente, nonostante tutto, che sboccia come un’ostinata resistenza
di ciò che è autentico?
113. D’altronde, la gente ormai non sembra credere in
un futuro felice, non confida ciecamente in un domani migliore a partire dalle
attuali condizioni del mondo e dalle capacità tecniche. Prende coscienza che il
progresso della scienza e della tecnica non equivale al progresso dell’umanità
e della storia, e intravede che sono altre le strade fondamentali per un futuro
felice. Ciononostante, neppure immagina di rinunciare alle possibilità che
offre la tecnologia. L’umanità si è modificata profondamente e l’accumularsi di
continue novità consacra una fugacità che ci trascina in superficie in un’unica
direzione. Diventa difficile fermarci per recuperare la profondità della vita.
Se l’architettura riflette lo spirito di un’epoca, le megastrutture e le case
in serie esprimono lo spirito della tecnica globalizzata, in cui la permanente
novità dei prodotti si unisce a una pesante noia. Non rassegniamoci a questo e
non rinunciamo a farci domande sui fini e sul senso di ogni cosa. Diversamente,
legittimeremo soltanto lo stato di fatto e avremo bisogno di più surrogati per
sopportare il vuoto.
114. Ciò che sta accadendo ci pone di fronte
all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale. La scienza e
la tecnologia non sono neutrali, ma possono implicare dall’inizio alla fine di
un processo diverse intenzioni e possibilità, e possono configurarsi in vari
modi. Nessuno vuole tornare all’epoca delle caverne, però è indispensabile
rallentare la marcia per guardare la realtà in un altro modo, raccogliere gli
sviluppi positivi e sostenibili, e al tempo stesso recuperare i valori e i
grandi fini distrutti da una sfrenatezza megalomane.
III. CRISI E CONSEGUENZE DELL’ANTROPOCENTRISMO MODERNO
115. L’antropocentrismo moderno, paradossalmente, ha
finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà, perché questo
essere umano «non sente più la natura né come norma valida, né come vivente
rifugio. La vede senza ipotesi, obiettivamente, come spazio e materia in cui
realizzare un’opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne
risulterà».[92] In
tal modo, si sminuisce il valore intrinseco del mondo. Ma se l’essere umano non
riscopre il suo vero posto, non comprende in maniera adeguata sé stesso e
finisce per contraddire la propria realtà. «Non solo la terra è stata data da
Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene,
secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è donato a sé stesso da Dio e
deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato».[93]
116. Nella modernità si è verificato un notevole
eccesso antropocentrico che, sotto altra veste, oggi continua a minare ogni
riferimento a qualcosa di comune e ogni tentativo di rafforzare i legami
sociali. Per questo è giunto il momento di prestare nuovamente attenzione alla
realtà con i limiti che essa impone, i quali a loro volta costituiscono la possibilità
di uno sviluppo umano e sociale più sano e fecondo. Una presentazione
inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione
errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato
trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo che ha provocato
l’impressione che la cura della natura sia cosa da deboli. Invece
l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore
dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile.[94]
117. La mancanza di preoccupazione per misurare i
danni alla natura e l’impatto ambientale delle decisioni, è solo il riflesso
evidente di un disinteresse a riconoscere il messaggio che la natura porta
inscritto nelle sue stesse strutture. Quando non si riconosce nella realtà
stessa l’importanza di un povero, di un embrione umano, di una persona con
disabilità – per fare solo alcuni esempi –, difficilmente si sapranno ascoltare
le grida della natura stessa. Tutto è connesso. Se l’essere umano si dichiara
autonomo dalla realtà e si costituisce dominatore assoluto, la stessa base
della sua esistenza si sgretola, perché «Invece di svolgere il suo ruolo di
collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e
così finisce col provocare la ribellione della natura».[95]
118. Questa situazione ci conduce ad una schizofrenia
permanente, che va dall’esaltazione tecnocratica che non riconosce agli altri
esseri un valore proprio, fino alla reazione di negare ogni peculiare valore
all’essere umano. Ma non si può prescindere dall’umanità. Non ci sarà una nuova
relazione con la natura senza un essere umano nuovo. Non c’è ecologia senza
un’adeguata antropologia. Quando la persona umana viene considerata solo un
essere in più tra gli altri, che deriva da un gioco del caso o da un
determinismo fisico, «si corre il rischio che si affievolisca nelle persone la
coscienza della responsabilità».[96] Un
antropocentrismo deviato non deve necessariamente cedere il passo a un
“biocentrismo”, perché ciò implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio, che
non solo non risolverà i problemi, bensì ne aggiungerà altri. Non si può
esigere da parte dell’essere umano un impegno verso il mondo, se non si
riconoscono e non si valorizzano al tempo stesso le sue peculiari capacità di
conoscenza, volontà, libertà e responsabilità.
119. La critica all’antropocentrismo deviato non
dovrebbe nemmeno collocare in secondo piano il valore delle relazioni tra le
persone. Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazione esterna della
crisi etica, culturale e spirituale della modernità, non possiamo illuderci di
risanare la nostra relazione con la natura e l’ambiente senza risanare tutte le
relazioni umane fondamentali. Quando il pensiero cristiano rivendica per
l’essere umano un peculiare valore al di sopra delle altre creature, dà spazio
alla valorizzazione di ogni persona umana, e così stimola il riconoscimento
dell’altro. L’apertura ad un “tu” in grado di conoscere, amare e dialogare
continua ad essere la grande nobiltà della persona umana. Perciò, in ordine ad
un’adeguata relazione con il creato, non c’è bisogno di sminuire la dimensione
sociale dell’essere umano e neppure la sua dimensione trascendente, la sua
apertura al “Tu” divino. Infatti, non si può proporre una relazione con
l’ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio. Sarebbe un
individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante
rinchiudersi nell’immanenza.
120. Dal momento che tutto è in relazione, non è
neppure compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto.
Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri
deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si
dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e
difficoltà: «Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza
di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si
inaridiscono».[97]
121. Si attende ancora lo sviluppo di una nuova
sintesi che superi le false dialettiche degli ultimi secoli. Lo stesso
cristianesimo, mantenendosi fedele alla sua identità e al tesoro di verità che
ha ricevuto da Gesù Cristo, sempre si ripensa e si riesprime nel dialogo con le
nuove situazioni storiche, lasciando sbocciare così la sua perenne novità.[98]
Il relativismo pratico
122. Un antropocentrismo deviato dà luogo a uno stile
di vita deviato. Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium ho fatto
riferimento al relativismo pratico che caratterizza la nostra epoca, e che è
«ancora più pericoloso di quello dottrinale».[99] Quando
l’essere umano pone sé stesso al centro, finisce per dare priorità assoluta ai
suoi interessi contingenti, e tutto il resto diventa relativo. Perciò non
dovrebbe meravigliare il fatto che, insieme all’onnipresenza del paradigma
tecnocratico e all’adorazione del potere umano senza limiti, si sviluppi nei
soggetti questo relativismo, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai
propri interessi immediati. Vi è in questo una logica che permette di
comprendere come si alimentino a vicenda diversi atteggiamenti che provocano al
tempo stesso il degrado ambientale e il degrado sociale.
123. La cultura del relativismo è la stessa patologia
che spinge una persona ad approfittare di un’altra e a trattarla come un mero
oggetto, obbligandola a lavori forzati, o riducendola in schiavitù a causa di
un debito. È la stessa logica che porta a sfruttare sessualmente i bambini, o
ad abbandonare gli anziani che non servono ai propri interessi. È anche la
logica interna di chi afferma: “lasciamo che le forze invisibili del mercato
regolino l’economia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura sono
danni inevitabili”. Se non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di
fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità
immediate, che limiti possono avere la tratta degli esseri umani, la
criminalità organizzata, il narcotraffico, il commercio di diamanti
insanguinati e di pelli di animali in via di estinzione? Non è la stessa logica
relativista quella che giustifica l’acquisto di organi dei poveri allo scopo di
venderli o di utilizzarli per la sperimentazione, o lo scarto di bambini perché
non rispondono al desiderio dei loro genitori? E’ la stessa logica “usa e
getta” che produce tanti rifiuti solo per il desiderio disordinato di consumare
più di quello di cui realmente si ha bisogno. E allora non possiamo pensare che
i programmi politici o la forza della legge basteranno ad evitare i
comportamenti che colpiscono l’ambiente, perché quando è la cultura che si
corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi
universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni
arbitrarie e come ostacoli da evitare.
La necessità di difendere il lavoro
124. In qualunque impostazione di ecologia integrale,
che non escluda l’essere umano, è indispensabile integrare il valore del
lavoro, tanto sapientemente sviluppato da san Giovanni Paolo II nella sua
Enciclica Laborem exercens. Ricordiamo che,
secondo il racconto biblico della creazione, Dio pose l’essere umano nel
giardino appena creato (cfr Gen 2,15) non solo per prendersi
cura dell’esistente (custodire), ma per lavorarvi affinché producesse frutti
(coltivare). Così gli operai e gli artigiani «assicurano la creazione eterna» (Sir38,34).
In realtà, l’intervento umano che favorisce il prudente sviluppo del creato è
il modo più adeguato di prendersene cura, perché implica il porsi come
strumento di Dio per aiutare a far emergere le potenzialità che Egli stesso ha
inscritto nelle cose: «Il Signore ha creato medicamenti dalla terra, l’uomo
assennato non li disprezza» (Sir 38,4).
125. Se cerchiamo di pensare quali siano le relazioni
adeguate dell’essere umano con il mondo che lo circonda, emerge la necessità di
una corretta concezione del lavoro, perché, se parliamo della relazione
dell’essere umano con le cose, si pone l’interrogativo circa il senso e la
finalità dell’azione umana sulla realtà. Non parliamo solo del lavoro manuale o
del lavoro della terra, bensì di qualsiasi attività che implichi qualche
trasformazione dell’esistente, dall’elaborazione di un studio sociale fino al
progetto di uno sviluppo tecnologico. Qualsiasi forma di lavoro presuppone
un’idea sulla relazione che l’essere umano può o deve stabilire con l’altro da
sé. La spiritualità cristiana, insieme con lo stupore contemplativo per le
creature che troviamo in san Francesco d’Assisi, ha sviluppato anche una ricca
e sana comprensione del lavoro, come possiamo riscontrare, per esempio, nella
vita del beato Charles de Foucauld e dei suoi discepoli.
126. Raccogliamo anche qualcosa dalla lunga tradizione
monastica. All’inizio essa favorì in un certo modo la fuga dal mondo, tentando
di allontanarsi dalla decadenza urbana. Per questo i monaci cercavano il
deserto, convinti che fosse il luogo adatto per riconoscere la presenza di Dio.
Successivamente, san Benedetto da Norcia volle che i suoi monaci vivessero in
comunità, unendo la preghiera e lo studio con il lavoro manuale (Ora et
labora). Questa introduzione del lavoro manuale intriso di senso spirituale
si rivelò rivoluzionaria. Si imparò a cercare la maturazione e la
santificazione nell’intreccio tra il raccoglimento e il lavoro. Tale maniera di
vivere il lavoro ci rende più capaci di cura e di rispetto verso l’ambiente,
impregna di sana sobrietà la nostra relazione con il mondo.
127. Affermiamo che «l’uomo è l’autore, il centro e il
fine di tutta la vita economico-sociale». [100] Ciononostante,
quando nell’essere umano si perde la capacità di contemplare e di rispettare,
si creano le condizioni perché il senso del lavoro venga stravolto.[101] Conviene
ricordare sempre che l’essere umano è nello stesso tempo «capace di divenire
lui stesso attore responsabile del suo miglioramento materiale, del suo
progresso morale, dello svolgimento pieno del suo destino spirituale».[102] Il
lavoro dovrebbe essere l’ambito di questo multiforme sviluppo personale, dove
si mettono in gioco molte dimensioni della vita: la creatività, la proiezione
nel futuro, lo sviluppo delle capacità, l’esercizio dei valori, la
comunicazione con gli altri, un atteggiamento di adorazione. Perciò la realtà
sociale del mondo di oggi, al di là degli interessi limitati delle imprese e di
una discutibile razionalità economica, esige che «si continui a perseguire
quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro […] per
tutti».[103]
128. Siamo chiamati al lavoro fin dalla nostra
creazione. Non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il
progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il
lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di
maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso,
aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per
fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di
consentire loro una vita degna mediante il lavoro. Tuttavia l’orientamento
dell’economia ha favorito un tipo di progresso tecnologico finalizzato a
ridurre i costi di produzione in ragione della diminuzione dei posti di lavoro,
che vengono sostituiti dalle macchine. È un ulteriore modo in cui l’azione
dell’essere umano può volgersi contro sé stesso. La riduzione dei posti di
lavoro «ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva
erosione del “capitale sociale”, ossia di quell’insieme di relazioni di
fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni
convivenza civile».[104] In
definitiva «i costi umani sono sempre anche costi economici e
le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani».[105] Rinunciare
ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un
pessimo affare per la società.
129. Perché continui ad essere possibile offrire
occupazione, è indispensabile promuovere un’economia che favorisca la
diversificazione produttiva e la creatività imprenditoriale. Per esempio, vi è
una grande varietà di sistemi alimentari agricoli e di piccola scala che
continua a nutrire la maggior parte della popolazione mondiale, utilizzando una
porzione ridotta del territorio e dell’acqua e producendo meno rifiuti, sia in
piccoli appezzamenti agricoli e orti, sia nella caccia e nella raccolta di
prodotti boschivi, sia nella pesca artigianale. Le economie di scala,
specialmente nel settore agricolo, finiscono per costringere i piccoli
agricoltori a vendere le loro terre o ad abbandonare le loro coltivazioni
tradizionali. I tentativi di alcuni di essi di sviluppare altre forme di
produzione, più diversificate, risultano inutili a causa della difficoltà di
accedere ai mercati regionali e globali o perché l’infrastruttura di vendita e
di trasporto è al servizio delle grandi imprese. Le autorità hanno il diritto e
la responsabilità di adottare misure di chiaro e fermo appoggio ai piccoli
produttori e alla diversificazione della produzione. Perché vi sia una libertà
economica della quale tutti effettivamente beneficino, a volte può essere
necessario porre limiti a coloro che detengono più grandi risorse e potere
finanziario. La semplice proclamazione della libertà economica, quando però le
condizioni reali impediscono che molti possano accedervi realmente, e quando si
riduce l’accesso al lavoro, diventa un discorso contraddittorio che disonora la
politica. L’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a
produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto
fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto
se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del
suo servizio al bene comune.
L’innovazione biologica a partire dalla ricerca
130. Nella visione filosofica e teologica dell’essere
umano e della creazione, che ho cercato di proporre, risulta chiaro che la persona
umana, con la peculiarità della sua ragione e della sua scienza, non è un
fattore esterno che debba essere totalmente escluso. Tuttavia, benché l’essere
umano possa intervenire nel mondo vegetale e animale e servirsene quando è
necessario alla sua vita, ilCatechismo insegna che le
sperimentazioni sugli animali sono legittime solo se «si mantengono in limiti
ragionevoli e contribuiscono a curare o a salvare vite umane».[106] Ricorda
con fermezza che il potere umano ha dei limiti e che «è contrario alla dignità
umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della
loro vita».[107] Qualsiasi
uso e sperimentazione «esige un religioso rispetto dell’integrità della
creazione».[108]
131. Desidero recepire qui l’equilibrata posizione di
san Giovanni Paolo II, il quale metteva in risalto i benefici dei progressi
scientifici e tecnologici, che «manifestano quanto sia nobile la vocazione
dell’uomo a partecipare responsabilmente all’azione creatrice di Dio», ma che
al tempo stesso ricordava «come ogni intervento in un’area dell’ecosistema non
possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree».[109] Affermava
che la Chiesa apprezza l’apporto «dello studio e delle applicazioni della
biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la
sua applicazione tecnologica nell’agricoltura e nell’industria».[110]Benché
dicesse anche che questo non deve dar luogo ad una «indiscriminata
manipolazione genetica»[111] che
ignori gli effetti negativi di questi interventi. Non è possibile frenare la
creatività umana. Se non si può proibire a un artista di esprimere la sua
capacità creativa, neppure si possono ostacolare coloro che possiedono doni
speciali per lo sviluppo scientifico e tecnologico, le cui capacità sono state
donate da Dio per il servizio degli altri. Nello stesso tempo, non si può fare
a meno di riconsiderare gli obiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti
etici di tale attività umana che è una forma di potere con grandi rischi.
132. In questo quadro dovrebbe situarsi qualsiasi
riflessione circa l’intervento umano sul mondo vegetale e animale, che implica
oggi mutazioni genetiche prodotte dalla biotecnologia, allo scopo di sfruttare
le possibilità presenti nella realtà materiale. Il rispetto della fede verso la
ragione chiede di prestare attenzione a quanto la stessa scienza biologica,
sviluppata in modo indipendente rispetto agli interessi economici, può
insegnare a proposito delle strutture biologiche e delle loro possibilità e
mutazioni. In ogni caso, è legittimo l’intervento che agisce sulla natura «per
aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella
voluta da Dio».[112]
133. E’ difficile emettere un giudizio generale sullo
sviluppo di organismi geneticamente modificati (OGM), vegetali o animali, per
fini medici o in agricoltura, dal momento che possono essere molto diversi tra
loro e richiedere distinte considerazioni. D’altra parte, i rischi non vanno
sempre attribuiti alla tecnica stessa, ma alla sua inadeguata o eccessiva
applicazione. In realtà, le mutazioni genetiche sono state e sono prodotte
molte volte dalla natura stessa. Nemmeno quelle provocate dall’essere umano
sono un fenomeno moderno. La domesticazione di animali, l’incrocio di specie e
altre pratiche antiche e universalmente accettate possono rientrare in queste
considerazioni. È opportuno ricordare che l’inizio degli sviluppi scientifici
sui cereali transgenici è stato l’osservazione di batteri che naturalmente e
spontaneamente producevano una modifica nel genoma di un vegetale. Tuttavia in
natura questi processi hanno un ritmo lento, che non è paragonabile alla
velocità imposta dai progressi tecnologici attuali, anche quando tali progressi
si basano su uno sviluppo scientifico di secoli.
134. Sebbene non disponiamo di prove definitive circa
il danno che potrebbero causare i cereali transgenici agli esseri umani, e in
alcune regioni il loro utilizzo ha prodotto una crescita economica che ha
contribuito a risolvere alcuni problemi, si riscontrano significative
difficoltà che non devono essere minimizzate. In molte zone, in seguito
all’introduzione di queste coltivazioni, si constata una concentrazione di
terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla «progressiva scomparsa dei
piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terre coltivate, si
sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta».[113] I
più fragili tra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli
finiscono per migrare in miserabili insediamenti urbani. L’estendersi di queste
coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la
diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie
regionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di
oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la
coltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semi
sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese
produttrici.
135. Senza dubbio c’è bisogno di un’attenzione
costante, che porti a considerare tutti gli aspetti etici implicati. A tal fine
occorre assicurare un dibattito scientifico e sociale che sia responsabile e
ampio, in grado di considerare tutta l’informazione disponibile e di chiamare
le cose con il loro nome. A volte non si mette sul tavolo l’informazione
completa, ma la si seleziona secondo i propri interessi, siano essi politici,
economici o ideologici. Questo rende difficile elaborare un giudizio
equilibrato e prudente sulle diverse questioni, tenendo presenti tutte le
variabili in gioco. E’ necessario disporre di luoghi di dibattito in cui tutti
quelli che in qualche modo si potrebbero vedere direttamente o indirettamente
coinvolti (agricoltori, consumatori, autorità, scienziati, produttori di
sementi, popolazioni vicine ai campi trattati e altri) possano esporre le loro
problematiche o accedere ad un’informazione estesa e affidabile per adottare
decisioni orientate al bene comune presente e futuro. Quella degli OGM è una
questione di carattere complesso, che esige di essere affrontata con uno
sguardo comprensivo di tutti i suoi aspetti, e questo richiederebbe almeno un
maggiore sforzo per finanziare diverse linee di ricerca autonoma e
interdisciplinare che possano apportare nuova luce.
136. D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni
movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione
reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano
questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si
oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani
vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre
il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi
principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica. Come
abbiamo visto in questo capitolo, la tecnica separata dall’etica difficilmente
sarà capace di autolimitare il proprio potere.
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