CAPITOLO QUINTO
ALCUNE LINEE DI ORIENTAMENTO E DI AZIONE
163. Ho cercato di prendere in esame la situazione
attuale dell’umanità, tanto nelle crepe del pianeta che abitiamo, quanto nelle
cause più profondamente umane del degrado ambientale. Sebbene questa
contemplazione della realtà in sé stessa già ci indichi la necessità di un
cambio di rotta e ci suggerisca alcune azioni, proviamo ora a delineare dei
grandi percorsi di dialogo che ci aiutino ad uscire dalla spirale di
autodistruzione in cui stiamo affondando.
I. IL DIALOGO SULL’AMBIENTE NELLA POLITICA
INTERNAZIONALE
164. Dalla metà del secolo scorso, superando molte
difficoltà, si è andata affermando la tendenza a concepire il pianeta come
patria e l’umanità come popolo che abita una casa comune. Un mondo
interdipendente non significa unicamente capire che le conseguenze dannose
degli stili di vita, di produzione e di consumo colpiscono tutti, bensì,
principalmente, fare in modo che le soluzioni siano proposte a partire da una
prospettiva globale e non solo in difesa degli interessi di alcuni Paesi.
L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un
progetto comune. Ma lo stesso ingegno utilizzato per un enorme sviluppo
tecnologico, non riesce a trovare forme efficaci di gestione internazionale in
ordine a risolvere le gravi difficoltà ambientali e sociali. Per affrontare i
problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli Paesi,
si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a
programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme
rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza
energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e
marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile.
165. Sappiamo che la tecnologia basata sui
combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il
petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente
e senza indugio. In attesa di un ampio sviluppo delle energie rinnovabili, che
dovrebbe già essere cominciato, è legittimo optare per il male minore o
ricorrere a soluzioni transitorie. Tuttavia, nella comunità internazionale non
si raggiungono accordi adeguati circa la responsabilità di coloro che devono
sopportare i costi maggiori della transizione energetica. Negli ultimi decenni
le questioni ambientali hanno dato origine a un ampio dibattito pubblico, che
ha fatto crescere nella società civile spazi di notevole impegno e di generosa
dedizione. La politica e l’industria rispondono con lentezza, lontane
dall’essere all’altezza delle sfide mondiali. In questo senso si può dire che,
mentre l’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una
delle più irresponsabili della storia, c’è da augurarsi che l’umanità degli
inizi del XXI secolo possa essere ricordata per aver assunto con generosità le
proprie gravi responsabilità.
166. Il movimento ecologico mondiale ha già fatto un
lungo percorso, arricchito dallo sforzo di molte organizzazioni della società
civile. Non sarebbe possibile qui menzionarle tutte, né ripercorrere la storia
dei loro contributi. Ma grazie a tanto impegno, le questioni ambientali sono
state sempre più presenti nell’agenda pubblica e sono diventate un invito
permanente a pensare a lungo termine. Ciononostante, i Vertici mondiali
sull’ambiente degli ultimi anni non hanno risposto alle aspettative perché, per
mancanza di decisione politica, non hanno raggiunto accordi ambientali globali
realmente significativi ed efficaci.
167. Va ricordato il Vertice della Terra celebrato nel
1992 a Rio de Janeiro. In quella sede è stato dichiarato che «gli esseri umani
sono al centro delle preoccupazioni relative allo sviluppo sostenibile».[126] Riprendendo
alcuni contenuti della Dichiarazione di Stoccolma (1972), ha sancito, tra
l’altro, la cooperazione internazionale per la cura dell’ecosistema di tutta la
terra, l’obbligo da parte di chi inquina di farsene carico economicamente, il
dovere di valutare l’impatto ambientale di ogni opera o progetto. Ha proposto
l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera per
invertire la tendenza al riscaldamento globale. Ha elaborato anche un’agenda
con un programma di azione e una convenzione sulla diversità biologica, ha
dichiarato principi in materia forestale. Benché quel vertice sia stato
veramente innovativo e profetico per la sua epoca, gli accordi hanno avuto un
basso livello di attuazione perché non si sono stabiliti adeguati meccanismi di
controllo, di verifica periodica e di sanzione delle inadempienze. I principi
enunciati continuano a richiedere vie efficaci e agili di realizzazione
pratica.
168. Tra le esperienze positive si può menzionare, per
esempio, la Convenzione di Basilea sui rifiuti pericolosi, con un sistema di
notificazione, di livelli stabiliti e di controlli; come pure la Convenzione
vincolante sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatica
minacciate di estinzione, che prevede missioni di verifica dell’attuazione
effettiva. Grazie alla Convenzione di Vienna per la protezione dello strato di
ozono e la sua attuazione mediante il Protocollo di Montreal e i suoi
emendamenti, il problema dell’assottigliamento di questo strato sembra essere
entrato in una fase di soluzione.
169. Riguardo alla cura per la diversità biologica e
la desertificazione, i progressi sono stati molto meno significativi. Per
quanto attiene ai cambiamenti climatici, i progressi sono deplorevolmente molto
scarsi. La riduzione dei gas serra richiede onestà, coraggio e responsabilità,
soprattutto da parte dei Paesi più potenti e più inquinanti. La Conferenza
delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile denominata Rio+20 (Rio de
Janeiro 2012), ha emesso un’ampia quanto inefficace Dichiarazione finale. I
negoziati internazionali non possono avanzare in maniera significativa a causa
delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali
rispetto al bene comune globale. Quanti subiranno le conseguenze che noi
tentiamo di dissimulare, ricorderanno questa mancanza di coscienza e di
responsabilità. Mentre si andava elaborando questa Enciclica, il dibattito ha
assunto una particolare intensità. Noi credenti non possiamo non pregare Dio
per gli sviluppi positivi delle attuali discussioni, in modo che le generazioni
future non soffrano le conseguenze di imprudenti indugi.
170. Alcune delle strategie per la bassa emissione di
gas inquinanti puntano alla internazionalizzazione dei costi ambientali, con il
pericolo di imporre ai Paesi con minori risorse pesanti impegni sulle riduzioni
di emissioni, simili a quelli dei Paesi più industrializzati. L’imposizione di
queste misure penalizza i Paesi più bisognosi di sviluppo. In questo modo si
aggiunge una nuova ingiustizia sotto il rivestimento della cura per l’ambiente.
Anche in questo caso, piove sempre sul bagnato. Poiché gli effetti dei
cambiamenti climatici si faranno sentire per molto tempo, anche se ora si
prendessero misure rigorose, alcuni Paesi con scarse risorse avranno bisogno di
aiuto per adattarsi agli effetti che già si stanno producendo e colpiscono le
loro economie. Resta certo che ci sono responsabilità comuni ma differenziate,
semplicemente perché, come hanno affermato i Vescovi della Bolivia, «i Paesi
che hanno tratto beneficio da un alto livello di industrializzazione, a costo
di un’enorme emissione di gas serra, hanno maggiore responsabilità di
contribuire alla soluzione dei problemi che hanno causato».[127]
171. La strategia di compravendita di “crediti di
emissione” può dar luogo a una nuova forma di speculazione e non servirebbe a
ridurre l’emissione globale di gas inquinanti. Questo sistema sembra essere una
soluzione rapida e facile, con l’apparenza di un certo impegno per l’ambiente,
che però non implica affatto un cambiamento radicale all’altezza delle
circostanze. Anzi, può diventare un espediente che consente di sostenere il super-consumo
di alcuni Paesi e settori.
172. Per i Paesi poveri le priorità devono essere lo
sradicamento della miseria e lo sviluppo sociale dei loro abitanti; al tempo
stesso devono prendere in esame il livello scandaloso di consumo di alcuni
settori privilegiati della loro popolazione e contrastare meglio la corruzione.
Certo, devono anche sviluppare forme meno inquinanti di produzione di energia,
ma per questo hanno bisogno di contare sull’aiuto dei Paesi che sono cresciuti
molto a spese dell’inquinamento attuale del pianeta. Lo sfruttamento diretto
dell’abbondante energia solare richiede che si stabiliscano meccanismi e
sussidi in modo che i Paesi in via di sviluppo possano avere accesso al
trasferimento di tecnologie, ad assistenza tecnica e a risorse finanziarie, ma
sempre prestando attenzione alle condizioni concrete, giacché «non sempre viene
adeguatamente valutata la compatibilità degli impianti con il contesto per il
quale sono progettati».[128] I
costi sarebbero bassi se raffrontati al rischio dei cambiamenti climatici. In
ogni modo, è anzitutto una decisione etica, fondata sulla solidarietà di tutti
i popoli.
173. Urgono accordi internazionali che si realizzino,
considerata la scarsa capacità delle istanze locali di intervenire in modo
efficace. Le relazioni tra Stati devono salvaguardare la sovranità di ciascuno,
ma anche stabilire percorsi concordati per evitare catastrofi locali che
finirebbero per danneggiare tutti. Occorrono quadri regolatori globali che
impongano obblighi e che impediscano azioni inaccettabili, come il fatto che
Paesi potenti scarichino su altri Paesi rifiuti e industrie altamente inquinanti.
174. Menzioniamo anche il sistema di governance degli
oceani. Infatti, benché vi siano state diverse convenzioni internazionali e
regionali, la frammentazione e l’assenza di severi meccanismi di
regolamentazione, controllo e sanzione finiscono con il minare tutti gli
sforzi. Il crescente problema dei rifiuti marini e della protezione delle aree
marine al di là delle frontiere nazionali continua a rappresentare una sfida
speciale. In definitiva, abbiamo bisogno di un accordo sui regimi di governance per
tutta la gamma dei cosiddetti beni comuni globali.
175. La medesima logica che rende difficile prendere
decisioni drastiche per invertire la tendenza al riscaldamento globale è quella
che non permette di realizzare l’obiettivo di sradicare la povertà. Abbiamo
bisogno di una reazione globale più responsabile, che implica affrontare
contemporaneamente la riduzione dell’inquinamento e lo sviluppo dei Paesi e
delle regioni povere. Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria
di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali,
soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri
transnazionali, tende a predominare sulla politica. In questo contesto, diventa
indispensabile lo sviluppo di istituzioni internazionali più forti ed
efficacemente organizzate, con autorità designate in maniera imparziale
mediante accordi tra i governi nazionali e dotate del potere di sanzionare.
Come ha affermato Benedetto XVI nella linea già sviluppata dalla dottrina
sociale della Chiesa, «per il governo dell’economia mondiale; per risanare le
economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e
conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale,
la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell’ambiente
e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità
politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore,
[san] Giovanni XXIII». [129] In
tale prospettiva, la diplomazia acquista un’importanza inedita, in ordine a
promuovere strategie internazionali per prevenire i problemi più gravi che
finiscono per colpire tutti.
II. IL DIALOGO VERSO NUOVE POLITICHE NAZIONALI E
LOCALI
176. Non solo ci sono vincitori e vinti tra i Paesi,
ma anche all’interno dei Paesi poveri, in cui si devono identificare diverse
responsabilità. Perciò, le questioni relative all’ambiente e allo sviluppo
economico non si possono più impostare solo a partire dalle differenze tra i
Paesi, ma chiedono di porre attenzione alle politiche nazionali e locali.
177. Dinanzi alla possibilità di un utilizzo
irresponsabile delle capacità umane, sono funzioni improrogabili di ogni Stato
quelle di pianificare, coordinare, vigilare e sanzionare all’interno del
proprio territorio. La società, in che modo ordina e custodisce il proprio
divenire in un contesto di costanti innovazioni tecnologiche? Un fattore che
agisce come moderatore effettivo è il diritto, che stabilisce le regole per le
condotte consentite alla luce del bene comune. I limiti che deve imporre una
società sana, matura e sovrana sono attinenti a previsione e precauzione,
regolamenti adeguati, vigilanza sull’applicazione delle norme, contrasto della
corruzione, azioni di controllo operativo sull’emergere di effetti non
desiderati dei processi produttivi, e intervento opportuno di fronte a rischi
indeterminati o potenziali. Esiste una crescente giurisprudenza orientata a
ridurre gli effetti inquinanti delle attività imprenditoriali. Ma la struttura
politica e istituzionale non esiste solo per evitare le cattive pratiche, bensì
per incoraggiare le buone pratiche, per stimolare la creatività che cerca nuove
strade, per facilitare iniziative personali e collettive.
178. Il dramma di una politica focalizzata sui
risultati immediati, sostenuta anche da popolazioni consumiste, rende
necessario produrre crescita a breve termine. Rispondendo a interessi
elettorali, i governi non si azzardano facilmente a irritare la popolazione con
misure che possano intaccare il livello di consumo o mettere a rischio
investimenti esteri. La miope costruzione del potere frena l’inserimento
dell’agenda ambientale lungimirante all’interno dell’agenda pubblica dei
governi. Si dimentica così che «il tempo è superiore allo spazio» [130],
che siamo sempre più fecondi quando ci preoccupiamo di generare processi,
piuttosto che di dominare spazi di potere. La grandezza politica si mostra
quando, in momenti difficili, si opera sulla base di grandi principi e pensando
al bene comune a lungo termine. Il potere politico fa molta fatica ad
accogliere questo dovere in un progetto di Nazione.
179. In alcuni luoghi, si stanno sviluppando
cooperative per lo sfruttamento delle energie rinnovabili che consentono
l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione in eccesso.
Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente si
mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la
differenza. E’ lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un
forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più
generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello
che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde
nelle popolazioni aborigene. Poiché il diritto, a volte, si dimostra
insufficiente a causa della corruzione, si richiede una decisione politica
sotto la pressione della popolazione. La società, attraverso organismi non
governativi e associazioni intermedie, deve obbligare i governi a sviluppare
normative, procedure e controlli più rigorosi. Se i cittadini non controllano
il potere politico – nazionale, regionale e municipale – neppure è possibile un
contrasto dei danni ambientali. D’altra parte, le legislazioni municipali
possono essere più efficaci se ci sono accordi tra popolazioni vicine per
sostenere le medesime politiche ambientali.
180. Non si può pensare a ricette uniformi, perché vi
sono problemi e limiti specifici di ogni Paese e regione. È vero anche che il
realismo politico può richiedere misure e tecnologie di transizione, sempre che
siano accompagnate dal disegno e dall’accettazione di impegni graduali
vincolanti. Allo stesso tempo, però, in ambito nazionale e locale c’è sempre
molto da fare, ad esempio promuovere forme di risparmio energetico. Ciò implica
favorire modalità di produzione industriale con massima efficienza energetica e
minor utilizzo di materie prime, togliendo dal mercato i prodotti poco efficaci
dal punto di vista energetico o più inquinanti. Possiamo anche menzionare una
buona gestione dei trasporti o tecniche di costruzione e di ristrutturazione di
edifici che ne riducano il consumo energetico e il livello di inquinamento.
D’altra parte, l’azione politica locale può orientarsi alla modifica dei
consumi, allo sviluppo di un’economia dei rifiuti e del riciclaggio, alla
protezione di determinate specie e alla programmazione di un’agricoltura
diversificata con la rotazione delle colture. È possibile favorire il
miglioramento agricolo delle regioni povere mediante investimenti nelle
infrastrutture rurali, nell’organizzazione del mercato locale o nazionale, nei
sistemi di irrigazione, nello sviluppo di tecniche agricole sostenibili. Si
possono facilitare forme di cooperazione o di organizzazione comunitaria che
difendano gli interessi dei piccoli produttori e preservino gli ecosistemi
locali dalla depredazione. È molto quello che si può fare!
181. È indispensabile la continuità, giacché non si
possono modificare le politiche relative ai cambiamenti climatici e alla
protezione dell’ambiente ogni volta che cambia un governo. I risultati
richiedono molto tempo e comportano costi immediati con effetti che non
potranno essere esibiti nel periodo di vita di un governo. Per questo, senza la
pressione della popolazione e delle istituzioni, ci saranno sempre resistenze
ad intervenire, ancor più quando ci siano urgenze da risolvere. Che un politico
assuma queste responsabilità con i costi che implicano, non risponde alla
logica efficientista e “immediatista” dell’economia e della politica attuali,
ma se avrà il coraggio di farlo, potrà nuovamente riconoscere la dignità che
Dio gli ha dato come persona e lascerà, dopo il suo passaggio in questa storia,
una testimonianza di generosa responsabilità. Occorre dare maggior spazio a una
sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di
buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose. Tuttavia,
bisogna aggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando
mancano le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di
significato, capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e
generoso.
III. DIALOGO E TRASPARENZA NEI PROCESSI DECISIONALI
182. La previsione dell’impatto ambientale delle
iniziative imprenditoriali e dei progetti richiede processi politici
trasparenti e sottoposti al dialogo, mentre la corruzione che nasconde il vero
impatto ambientale di un progetto in cambio di favori spesso porta ad accordi
ambigui che sfuggono al dovere di informare ed a un dibattito approfondito.
183. Uno studio di impatto ambientale non dovrebbe
essere successivo all’elaborazione di un progetto produttivo o di qualsiasi
politica, piano o programma. Va inserito fin dall’inizio e dev’essere elaborato
in modo interdisciplinare, trasparente e indipendente da ogni pressione
economica o politica. Dev’essere connesso con l’analisi delle condizioni di
lavoro e dei possibili effetti sulla salute fisica e mentale delle persone,
sull’economia locale, sulla sicurezza. I risultati economici si potranno così
prevedere in modo più realistico, tenendo conto degli scenari possibili ed
eventualmente anticipando la necessità di un investimento maggiore per
risolvere effetti indesiderati che possano essere corretti. È sempre necessario
acquisire consenso tra i vari attori sociali, che possono apportare diverse
prospettive, soluzioni e alternative. Ma nel dibattito devono avere un posto privilegiato
gli abitanti del luogo, i quali si interrogano su ciò che vogliono per sé e per
i propri figli, e possono tenere in considerazione le finalità che trascendono
l’interesse economico immediato. Bisogna abbandonare l’idea di “interventi”
sull’ambiente, per dar luogo a politiche pensate e dibattute da tutte le parti
interessate. La partecipazione richiede che tutti siano adeguatamente informati
sui diversi aspetti e sui vari rischi e possibilità, e non si riduce alla
decisione iniziale su un progetto, ma implica anche azioni di controllo o
monitoraggio costante. C’è bisogno di sincerità e verità nelle discussioni
scientifiche e politiche, senza limitarsi a considerare che cosa sia permesso o
meno dalla legislazione.
184. Quando compaiono eventuali rischi per l’ambiente
che interessano il bene comune presente e futuro, questa situazione richiede
«che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici
ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa»[131].
Questo vale soprattutto se un progetto può causare un incremento nello
sfruttamento delle risorse naturali, nelle emissioni e nelle scorie, nella
produzione di rifiuti, oppure un mutamento significativo nel paesaggio,
nell’habitat di specie protette o in uno spazio pubblico. Alcuni progetti, non
supportati da un’analisi accurata, possono intaccare profondamente la qualità
della vita di un luogo per questioni molto diverse tra loro come, ad esempio,
un inquinamento acustico non previsto, la riduzione dell’ampiezza visuale, la
perdita di valori culturali, gli effetti dell’uso dell’energia nucleare. La
cultura consumistica, che dà priorità al breve termine e all’interesse privato,
può favorire pratiche troppo rapide o consentire l’occultamento
dell’informazione.
185. In ogni discussione riguardante un’iniziativa
imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande, per poter discernere se
porterà ad un vero sviluppo integrale: Per quale scopo? Per quale motivo? Dove?
Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi? A quale costo? Chi
paga le spese e come lo farà? In questo esame ci sono questioni che devono
avere la priorità. Per esempio, sappiamo che l’acqua è una risorsa scarsa e
indispensabile, inoltre è un diritto fondamentale che condiziona l’esercizio di
altri diritti umani. Questo è indubitabile e supera ogni analisi di impatto
ambientale di una regione.
186. Nella Dichiarazione di Rio del 1992, si sostiene
che «laddove vi sono minacce di danni gravi o irreversibili, la mancanza di
piene certezze scientifiche non potrà costituire un motivo per ritardare
l’adozione di misure efficaci»[132] che
impediscano il degrado dell’ambiente. Questo principio di precauzione permette
la protezione dei più deboli, che dispongono di pochi mezzi per difendersi e
per procurare prove irrefutabili. Se l’informazione oggettiva porta a prevedere
un danno grave e irreversibile, anche se non ci fosse una dimostrazione
indiscutibile, qualunque progetto dovrebbe essere fermato o modificato. In
questo modo si inverte l’onere della prova, dato che in questi casi bisogna
procurare una dimostrazione oggettiva e decisiva che l’attività proposta non
vada a procurare danni gravi all’ambiente o a quanti lo abitano.
187. Questo non significa opporsi a qualsiasi
innovazione tecnologica che consenta di migliorare la qualità della vita di una
popolazione. Ma in ogni caso deve rimanere fermo che la redditività non può
essere l’unico criterio da tener presente e che, nel momento in cui apparissero
nuovi elementi di giudizio a partire dagli sviluppi dell’informazione, dovrebbe
esserci una nuova valutazione con la partecipazione di tutte le parti
interessate. Il risultato della discussione potrà essere la decisione di non
proseguire in un progetto, ma potrebbe anche essere la sua modifica o
l’elaborazione di proposte alternative.
188. Ci sono discussioni, su questioni relative
all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta
ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né
di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente,
perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune.
IV. POLITICA ED ECONOMIA IN DIALOGO PER LA PIENEZZA
UMANA
189. La politica non deve sottomettersi all’economia e
questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della
tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile
che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio
della vita, specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle
banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di
rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della
finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga,
costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione
per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una
nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza
virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri
obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre
razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai
prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina
molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non
necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali.[133] La
bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò
che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale
rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese
funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino
occupazione, e così via.
190. In questo contesto bisogna sempre ricordare che
«la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo
finanziario di costi e benefici. L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi
del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente».[134] Ancora
una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a
pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle
imprese o degli individui. È realistico aspettarsi che chi è ossessionato dalla
massimizzazione dei profitti si fermi a pensare agli effetti ambientali che
lascerà alle prossime generazioni? All’interno dello schema della rendita non
c’è posto per pensare ai ritmi della natura, ai suoi tempi di degradazione e di
rigenerazione, e alla complessità degli ecosistemi che possono essere
gravemente alterati dall’intervento umano. Inoltre, quando si parla di
biodiversità, al massimo la si pensa come una riserva di risorse economiche che
potrebbe essere sfruttata, ma non si considerano seriamente il valore reale
delle cose, il loro significato per le persone e le culture, gli interessi e le
necessità dei poveri.
191. Quando si pongono tali questioni, alcuni
reagiscono accusando gli altri di pretendere di fermare irrazionalmente il
progresso e lo sviluppo umano. Ma dobbiamo convincerci che rallentare un
determinato ritmo di produzione e di consumo può dare luogo a un’altra modalità
di progresso e di sviluppo. Gli sforzi per un uso sostenibile delle risorse
naturali non sono una spesa inutile, bensì un investimento che potrà offrire
altri benefici economici a medio termine. Se non abbiamo ristrettezze di
vedute, possiamo scoprire che la diversificazione di una produzione più
innovativa e con minore impatto ambientale, può essere molto redditizia. Si
tratta di aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di
fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di
incanalare tale energia in modo nuovo.
192. Per esempio, un percorso di sviluppo produttivo
più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra
l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per
risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti
e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe
migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione
produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e
innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa
sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere
umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità,
per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione
più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e
più superficiale insistere nel creare forme di saccheggio della natura solo per
offrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata.
193. In ogni modo, se in alcuni casi lo sviluppo
sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte
alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni,
occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti
ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi. Sappiamo che è
insostenibile il comportamento di coloro che consumano e distruggono sempre
più, mentre altri ancora non riescono a vivere in conformità alla propria
dignità umana. Per questo è arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in
alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano
in altre parti. Diceva Benedetto XVI che «è necessario che le società
tecnologicamente avanzate siano disposte a favorire comportamenti
caratterizzati dalla sobrietà, diminuendo il proprio consumo di energia e
migliorando le condizioni del suo uso».[135]
194. Affinché sorgano nuovi modelli di progresso
abbiamo bisogno di «cambiare il modello di sviluppo globale», [136] la
qual cosa implica riflettere responsabilmente «sul senso dell’economia e sulla
sua finalità, per correggere le sue disfunzioni e distorsioni».[137]Non
basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita
finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema
le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro. Semplicemente si
tratta di ridefinire il progresso. Uno sviluppo tecnologico ed economico che
non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non
può considerarsi progresso. D’altra parte, molte volte la qualità reale della
vita delle persone diminuisce – per il deteriorarsi dell’ambiente, la bassa
qualità dei prodotti alimentari o l’esaurimento di alcune risorse – nel
contesto di una crescita dell’economia. In questo quadro, il discorso della
crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione
che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della
finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle
imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine.
195. Il principio della massimizzazione del profitto,
che tende ad isolarsi da qualsiasi altra considerazione, è una distorsione
concettuale dell’economia: se aumenta la produzione, interessa poco che si
produca a spese delle risorse future o della salute dell’ambiente; se il taglio
di una foresta aumenta la produzione, nessuno misura in questo calcolo la
perdita che implica desertificare un territorio, distruggere la biodiversità o
aumentare l’inquinamento. Vale a dire che le imprese ottengono profitti
calcolando e pagando una parte infima dei costi. Si potrebbe considerare etico
solo un comportamento in cui «i costi economici e sociali derivanti dall’uso
delle risorse ambientali comuni siano riconosciuti in maniera trasparente e
siano pienamente supportati da coloro che ne usufruiscono e non da altre
popolazioni o dalle generazioni future».[138] La
razionalità strumentale, che apporta solo un’analisi statica della realtà in
funzione delle necessità del momento, è presente sia quando ad assegnare le
risorse è il mercato, sia quando lo fa uno Stato pianificatore.
196. Qual è il posto della politica? Ricordiamo il
principio di sussidiarietà, che conferisce libertà per lo sviluppo delle
capacità presenti a tutti i livelli, ma al tempo stesso esige più
responsabilità verso il bene comune da parte di chi detiene più potere. È vero
che oggi alcuni settori economici esercitano più potere degli Stati stessi. Ma
non si può giustificare un’economia senza politica, che sarebbe incapace di
propiziare un’altra logica in grado di governare i vari aspetti della crisi
attuale. La logica che non lascia spazio a una sincera preoccupazione per
l’ambiente è la stessa in cui non trova spazio la preoccupazione per integrare
i più fragili, perché «nel vigente modello “di successo” e “privatistico”, non
sembra abbia senso investire affinché quelli che rimangono indietro, i deboli o
i meno dotati possano farsi strada nella vita».[139]
197. Abbiamo bisogno di una politica che pensi con una
visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in
un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi. Molte volte la
stessa politica è responsabile del proprio discredito, a causa della corruzione
e della mancanza di buone politiche pubbliche. Se lo Stato non adempie il
proprio ruolo in una regione, alcuni gruppi economici possono apparire come
benefattori e detenere il potere reale, sentendosi autorizzati a non osservare
certe norme, fino a dar luogo a diverse forme di criminalità organizzata,
tratta delle persone, narcotraffico e violenza molto difficili da sradicare. Se
la politica non è capace di rompere una logica perversa, e inoltre resta
inglobata in discorsi inconsistenti, continueremo a non affrontare i grandi
problemi dell’umanità. Una strategia di cambiamento reale esige di ripensare la
totalità dei processi, poiché non basta inserire considerazioni ecologiche
superficiali mentre non si mette in discussione la logica soggiacente alla
cultura attuale. Una politica sana dovrebbe essere capace di assumere questa
sfida.
198. La politica e l’economia tendono a incolparsi
reciprocamente per quanto riguarda la povertà e il degrado ambientale. Ma
quello che ci si attende è che riconoscano i propri errori e trovino forme di
interazione orientate al bene comune. Mentre gli uni si affannano solo per
l’utile economico e gli altri sono ossessionati solo dal conservare o
accrescere il potere, quello che ci resta sono guerre o accordi ambigui dove
ciò che meno interessa alle due parti è preservare l’ambiente e avere cura dei
più deboli. Anche qui vale il principio che «l’unità è superiore al conflitto».[140]
V. LE RELIGIONI NEL DIALOGO CON LE SCIENZE
199. Non si può sostenere che le scienze empiriche
spieghino completamente la vita, l’intima essenza di tutte le creature e
l’insieme della realtà. Questo vorrebbe dire superare indebitamente i loro
limitati confini metodologici. Se si riflette con questo quadro ristretto,
spariscono la sensibilità estetica, la poesia, e persino la capacità della
ragione di cogliere il senso e la finalità delle cose.[141] Desidero
ricordare che «i testi religiosi classici possono offrire un significato
destinato a tutte le epoche, posseggono una forza motivante che apre sempre
nuovi orizzonti […]. È ragionevole e intelligente relegarli nell’oscurità solo
perché sono nati nel contesto di una credenza religiosa?».[142] In
realtà, è semplicistico pensare che i principi etici possano presentarsi in modo
puramente astratto, slegati da ogni contesto, e il fatto che appaiano con un
linguaggio religioso non toglie loro alcun valore nel dibattito pubblico. I
principi etici che la ragione è capace di percepire possono riapparire sempre
sotto diverse vesti e venire espressi con linguaggi differenti, anche
religiosi.
200. D’altra parte, qualunque soluzione tecnica che le
scienze pretendano di apportare sarà impotente a risolvere i gravi problemi del
mondo se l’umanità perde la sua rotta, se si dimenticano le grandi motivazioni
che rendono possibile il vivere insieme, il sacrificio, la bontà. In ogni caso,
occorrerà fare appello ai credenti affinché siano coerenti con la propria fede
e non la contraddicano con le loro azioni, bisognerà insistere perché si aprano
nuovamente alla grazia di Dio e attingano in profondità dalle proprie
convinzioni sull’amore, sulla giustizia e sulla pace. Se una cattiva
comprensione dei nostri principi ci ha portato a volte a giustificare l’abuso
della natura o il dominio dispotico dell’essere umano sul creato, o le guerre,
l’ingiustizia e la violenza, come credenti possiamo riconoscere che in tal modo
siamo stati infedeli al tesoro di sapienza che avremmo dovuto custodire. Molte
volte i limiti culturali di diverse epoche hanno condizionato tale
consapevolezza del proprio patrimonio etico e spirituale, ma è precisamente il
ritorno alle loro rispettive fonti che permette alle religioni di rispondere
meglio alle necessità attuali.
201. La maggior parte degli abitanti del pianeta si
dichiarano credenti, e questo dovrebbe spingere le religioni ad entrare in un
dialogo tra loro orientato alla cura della natura, alla difesa dei poveri, alla
costruzione di una rete di rispetto e di fraternità. È indispensabile anche un
dialogo tra le stesse scienze, dato che ognuna è solita chiudersi nei limiti
del proprio linguaggio, e la specializzazione tende a diventare isolamento e
assolutizzazione del proprio sapere. Questo impedisce di affrontare in modo
adeguato i problemi dell’ambiente. Ugualmente si rende necessario un dialogo
aperto e rispettoso tra i diversi movimenti ecologisti, fra i quali non mancano
le lotte ideologiche. La gravità della crisi ecologica esige da noi tutti di
pensare al bene comune e di andare avanti sulla via del dialogo che richiede
pazienza, ascesi e generosità, ricordando sempre che «la realtà è superiore
all’idea».[143]
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