"Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi..."
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giovedì 25 dicembre 2014
giovedì 4 dicembre 2014
Visita di Sua Santità Francesco al Parlamento Europeo e al Consiglio d’Europa (25 novembre 2014)
Signor Presidente, Signore e Signori Vice Presidenti,
Onorevoli Eurodeputati,
Persone che lavorano a titoli diversi in
quest’emiciclo,
Cari amici,
vi ringrazio per l'invito a prendere la parola dinanzi
a questa istituzione fondamentale della vita dell'Unione Europea e per
l'opportunità che mi offrite di rivolgermi, attraverso di voi, agli oltre
cinquecento milioni di cittadini che rappresentate nei 28 Stati membri.
Particolare gratitudine, desidero esprimere a Lei, Signor Presidente del
Parlamento, per le cordiali parole di benvenuto che mi ha rivolto, a nome di
tutti i componenti dell'Assemblea.
La mia visita avviene dopo oltre un quarto di secolo
da quella compiuta da Papa Giovanni Paolo II. Molto è cambiato da quei giorni
in Europa e in tutto il mondo. Non esistono più i blocchi contrapposti che
allora dividevano il continente in due e si sta lentamente compiendo il
desiderio che «l'Europa, dandosi sovranamente libere istituzioni, possa un
giorno estendersi alle dimensioni che le sono state date dalla geografia e più
ancora dalla storia».1( 1 GIOVANNI PAOLO II, Discorso al
Parlamento Europeo, 11 ottobre 1988, n.5.
Accanto a un'Unione Europea più ampia, vi è anche un
mondo più complesso e fortemente in movimento. Un mondo sempre più
interconnesso e globale e perciò sempre meno "eurocentrico". A
un'Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l'immagine di un'Europa
un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un
contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.
Nel rivolgermi a voi quest'oggi, a partire dalla mia
vocazione di pastore, desidero indirizzare a tutti i cittadini europei un
messaggio di speranza e di incoraggiamento.
Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le
difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le
paure che l’Europa - insieme a tutto il mondo - sta attraversando. Speranza nel
Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita.
Incoraggiamento di tornare alla ferma convinzione dei
Padri fondatori dell'Unione europea, i quali desideravano un futuro basato
sulla capacità di lavorare insieme per superare le divisioni e per favorire la
pace e la comunione fra tutti i popoli del continente. Al centro di questo
ambizioso progetto politico vi era la fiducia nell'uomo, non tanto in quanto
cittadino, né in quanto soggetto economico, ma nell'uomo in quanto persona
dotata di una dignità trascendente.
Mi preme anzitutto sottolineare lo stretto legame che
esiste fra queste due parole: "dignità" e "trascendente".
La "dignità" è una parola-chiave che ha
caratterizzato la ripresa del secondo dopo guerra. La nostra storia recente si
contraddistingue per l'indubbia centralità della promozione della dignità umana
contro le molteplici violenze e discriminazioni, che neppure in Europa sono
mancate nel corso dei secoli. La percezione dell'importanza dei diritti
umani nasce proprio come esito di un lungo cammino, fatto anche di molteplici
sofferenze e sacrifici, che ha contribuito a formare la coscienza della
preziosità, unicità e irripetibilità di ogni singola persona umana. Tale
consapevolezza culturale trova fondamento non solo negli avvenimenti della
storia, ma soprattutto nel pensiero europeo, contraddistinto da un ricco
incontro, le cui numerose fonti lontane provengono «dalla Grecia e da Roma, da
substrati celtici, germanici e slavi, e dal cristianesimo che li ha plasmati
profondamente»2(2 GIOVANNI PAOLO II, Discorso all’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d’Europa, 8 ottobre 1988), dando luogo proprio al concetto di
"persona".
Oggi, la promozione dei diritti umani occupa un ruolo
centrale nell'impegno dell'Unione Europea in ordine a favorire la dignità della
persona, sia al suo interno che nei rapporti con gli altri Paesi. Si tratta di
un impegno importante e ammirevole, poiché persistono fin troppe situazioni in
cui gli esseri umani sono trattati come oggetti, dei quali si può programmare
la concezione, la configurazione e l’utilità, e che poi possono essere buttati
via quando non servono più, perché diventati deboli, malati o vecchi.
Effettivamente quale dignità esiste quando manca la
possibilità di esprimere liberamente il proprio pensiero o di professare senza
costrizione la propria fede religiosa? Quale dignità è possibile senza una
cornice giuridica chiara, che limiti il dominio della forza e faccia prevalere
la legge sulla tirannia del potere? Quale dignità può mai avere un uomo o una
donna fatto oggetto di ogni genere di discriminazione? Quale dignità potrà mai trovare una persona che non ha il cibo o il
minimo essenziale per vivere e, peggio ancora, che non ha il lavoro che lo unge
di dignità?
Promuovere la dignità della persona significa
riconoscere che essa possiede diritti inalienabili di cui non può essere
privata ad arbitrio di alcuno e tanto meno a beneficio di interessi economici.
Occorre però prestare attenzione per non cadere in
alcuni equivoci che possono nascere da un fraintendimento del concetto di
diritti umani e da un loro paradossale abuso. Vi è infatti oggi la tendenza
verso una rivendicazione sempre più ampia di diritti individuali - sono tentato
di dire individualistici -, che cela una concezione di persona umana staccata
da ogni contesto sociale e antropologico, quasi come una "monade" (μονάς)),
sempre più insensibile alle altre "monadi" intorno a sé. Al concetto
di diritto non sembra più associato quello altrettanto essenziale e
complementare di dovere, così che si finisce per affermare i diritti del
singolo senza tenere conto che ogni essere umano è legato a un contesto
sociale, in cui i suoi diritti e doveri sono connessi a quelli degli altri e al
bene comune della società stessa.
Ritengo perciò che sia quanto mai vitale approfondire
oggi una cultura dei diritti umani che possa sapientemente legare la dimensione
individuale, o, meglio, personale, a quella del bene comune, a quel
"noi-tutti" formato da individui, famiglie e gruppi intermedi
che si uniscono in comunità sociale3(3 Cfr BENEDETTO XVI, Caritas
in veritate, 7; Conc. Ecum. Vat II, Cost.
past. Gaudium et
spes, 26.
. Infatti, se il diritto di ciascuno non è
armonicamente ordinato al bene più grande, finisce per concepirsi senza
limitazioni e dunque per diventare sorgente di conflitti e di violenze.
Parlare della dignità trascendente dell'uomo,
significa dunque fare appello alla sua natura, alla sua innata capacità di
distinguere il bene dal male, a quella "bussola" inscritta nei nostri
cuori e che Dio ha impresso nell’universo creato4(4 Cfr Compendio della
Dottrina sociale della Chiesa, 37.
; soprattutto significa guardare all'uomo non come a
un assoluto, ma come a un essere relazionale. Una delle malattie
che vedo più diffuse oggi in Europa è la solitudine, propria di chi
è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso
abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di
riferimento e di opportunità per il futuro; la si vede nei numerosi poveri che
popolano le nostre città; la si vede negli occhi smarriti dei migranti che sono
venuti qui in cerca di un futuro migliore.
Tale solitudine è stata poi acuita dalla crisi
economica, i cui effetti perdurano ancora con conseguenze drammatiche dal punto
di vista sociale. Si può poi constatare che, nel corso degli ultimi anni,
accanto al processo di allargamento dell'Unione Europea, è andata crescendo la
sfiducia da parte dei cittadini nei confronti di istituzioni ritenute distanti,
impegnate a stabilire regole percepite come lontane dalla sensibilità dei
singoli popoli, se non addirittura dannose. Da più parti si ricava
un'impressione generale di stanchezza, d'invecchiamento, di un’Europa nonna e
non più fertile e vivace. Per cui i grandi ideali che hanno ispirato l'Europa
sembrano aver perso forza attrattiva, in favore dei tecnicismi burocratici
delle sue istituzioni.
A ciò si
associano alcuni stili di vita un po' egoisti, caratterizzati da un'opulenza
ormai insostenibile e spesso indifferente nei confronti del mondo circostante,
soprattutto dei più poveri. Si constata con rammarico un prevalere delle questioni tecniche ed
economiche al centro del dibattito politico, a scapito di un autentico
orientamento antropologico5 (5 Cfr Evangelii
gaudium, 55.)
. L'essere umano rischia di essere ridotto a semplice ingranaggio di un
meccanismo che lo tratta alla stregua di un bene di consumo da utilizzare, così
che - lo notiamo purtroppo spesso - quando la vita non è funzionale a tale
meccanismo viene scartata senza troppe remore, come nel caso dei malati, dei
malati terminali, degli anziani abbandonati e senza cura, o dei bambini uccisi
prima di nascere.
È il grande equivoco che avviene «quando prevale
l'assolutizzazione della tecnica»6 ( BENEDETTO XVI, Caritas in
veritate, 71.), che
finisce per realizzare «una confusione fra fini e mezzi»7 (7 Ibid). Risultato inevitabile della "cultura
dello scarto" e del "consumismo esasperato". Al
contrario, affermare la dignità della persona significa riconoscere la
preziosità della vita umana, che ci è donata gratuitamente e non può perciò
essere oggetto di scambio o di smercio. Voi, nella vostra vocazione di
parlamentari, siete chiamati anche a una missione grande benché possa sembrare
inutile: prendervi cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle
persone. Prendersi cura della fragilità dice forza e tenerezza, dice lotta e fecondità
in mezzo a un modello funzionalista e privatista che conduce inesorabilmente
alla "cultura dello scarto". Prendersi cura della fragilità delle
persone e dei popoli significa custodire la memoria e la speranza; significa
farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed
essere capaci di ungerlo di dignità8 (8 Cfr Evangelii gaudium, 209.
Come dunque ridare speranza al futuro, così che, a
partire dalle giovani generazioni, si ritrovi la fiducia per perseguire il
grande ideale di un'Europa unita e in pace, creativa e intraprendente,
rispettosa dei diritti e consapevole dei propri doveri?
Per rispondere a questa domanda, permettetemi di
ricorrere a un'immagine. Uno dei più celebri affreschi di Raffaello che si
trovano in Vaticano raffigura la cosiddetta Scuola di Atene. Al
suo centro vi sono Platone e Aristotele. Il primo con il dito che punta verso
l'alto, verso il mondo delle idee, potremmo dire verso il cielo; il secondo
tende la mano in avanti, verso chi guarda, verso la terra, la realtà concreta.
Mi pare un'immagine che ben descrive l'Europa e la sua storia, fatta del
continuo incontro tra cielo e terra, dove il cielo indica l'apertura al
trascendente, a Dio, che ha da sempre contraddistinto l'uomo europeo, e la
terra rappresenta la sua capacità pratica e concreta di affrontare le
situazioni e i problemi.
Il futuro dell'Europa dipende dalla riscoperta del
nesso vitale e inseparabile fra questi due elementi. Un'Europa che non è più
capace di aprirsi alla dimensione trascendente della vita è un'Europa che
lentamente rischia di perdere la propria anima e anche quello "spirito
umanistico" che pure ama e difende.
Proprio a partire dalla necessità di un'apertura al
trascendente, intendo affermare la centralità della persona umana, altrimenti
in balia delle mode e dei poteri del momento. In questo senso ritengo
fondamentale non solo il patrimonio che il cristianesimo ha lasciato nel
passato alla formazione socioculturale del continente, bensì soprattutto il
contributo che intende dare oggi e nel futuro alla sua crescita. Tale
contributo non costituisce un pericolo per la laicità degli Stati e per
l'indipendenza delle istituzioni dell'Unione, bensì un arricchimento. Ce lo
indicano gli ideali che l'hanno formata fin dal principio, quali la pace, la
sussidiarietà e la solidarietà reciproca, un umanesimo incentrato sul rispetto
della dignità della persona.
Desidero, perciò, rinnovare la disponibilità della
Santa Sede e della Chiesa cattolica, attraverso la Commissione delle Conferenze
Episcopali Europee (COMECE), a intrattenere un dialogo proficuo, aperto e
trasparente con le istituzioni dell'Unione Europea. Parimenti sono convinto che
un'Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose,
sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, possa essere anche più
facilmente immune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche
per il grande vuoto ideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché «è proprio l'oblio di Dio, e non la sua
glorificazione, a generare la violenza».9(9 BENEDETTO XVI, Discorso ai Membri del Corpo
Diplomatico, 7 gennaio 2013.
Non possiamo qui non ricordare le numerose ingiustizie
e persecuzioni che colpiscono quotidianamente le minoranze religiose, e
particolarmente cristiane, in diverse parti del mondo. Comunità e persone che si trovano ad essere oggetto di barbare
violenze: cacciate dalle proprie case e patrie; vendute come schiave; uccise,
decapitate, crocefisse e bruciate vive, sotto il silenzio vergognoso e complice
di tanti.
Il motto dell'Unione Europea è Unità nella
diversità, ma l'unità non significa uniformità politica, economica,
culturale, o di pensiero. In realtà ogni autentica unità vive della ricchezza
delle diversità che la compongono: come una famiglia, che è tanto più unita
quanto più ciascuno dei suoi componenti può essere fino in fondo sé stesso
senza timore. In tal senso, ritengo che l'Europa sia una famiglia di popoli, i
quali potranno sentire vicine le istituzioni dell'Unione se esse sapranno
sapientemente coniugare l'ideale dell'unità cui si anela, alla diversità
propria di ciascuno, valorizzando le singole tradizioni; prendendo coscienza
della sua storia e delle sue radici; liberandosi dalle tante manipolazioni e
dalle tante fobie. Mettere al centro la persona umana significa anzitutto
lasciare che essa esprima liberamente il proprio volto e la propria creatività,
sia a livello di singolo che di popolo.
D'altra parte le peculiarità di ciascuno costituiscono
un'autentica ricchezza nella misura in cui sono messe al servizio di tutti.
Occorre ricordare sempre l'architettura propria dell'Unione Europea, basata sui
principi di solidarietà e sussidiarietà, così che prevalga l'aiuto vicendevole
e si possa camminare, animati da reciproca fiducia.
In questa dinamica di unità-particolarità, si pone a
voi, Signori e Signore Eurodeputati, anche l’esigenza di farvi carico di
mantenere viva la democrazia, la democrazia dei popoli dell’Europa. Non ci è
nascosto che una concezione omologante della globalità colpisce la vitalità del
sistema democratico depotenziando il ricco contrasto, fecondo e costruttivo,
delle organizzazioni e dei partiti politici tra di loro. Così si corre il
rischio di vivere nel regno dell’idea, della sola parola, dell’immagine, del
sofisma… e di finire per confondere la realtà della democrazia con un nuovo
nominalismo politico. Mantenere viva la democrazia in Europa richiede di
evitare tante "maniere globalizzanti" di diluire la realtà: i purismi
angelici, i totalitarismi del relativo, i fondamentalismi astorici, gli
eticismi senza bontà, gli intellettualismi senza sapienza10(10 Cfr Evangelii gaudium,
231.
Mantenere viva la realtà delle democrazie è una sfida
di questo momento storico, evitando che la loro forza reale – forza politica
espressiva dei popoli – sia rimossa davanti alla pressione di interessi
multinazionali non universali, che le indeboliscano e le trasformino in sistemi
uniformanti di potere finanziario al servizio di imperi sconosciuti. Questa è
una sfida che oggi la storia vi pone.
Dare speranza all'Europa non significa solo
riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le
doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi
talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello
dell'educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento
prezioso di ogni società. La famiglia unita, fertile e indissolubile porta con
sé gli elementi fondamentali per dare speranza al futuro. Senza tale solidità
si finisce per costruire sulla sabbia, con gravi conseguenze sociali. D'altra
parte, sottolineare l'importanza della famiglia non solo aiuta a dare
prospettive e speranza alle nuove generazioni, ma anche ai numerosi anziani,
spesso costretti a vivere in condizioni di solitudine e di abbandono perché non
c'è più il calore di un focolare domestico in grado di accompagnarli e di
sostenerli.
Accanto alla famiglia vi sono le istituzioni
educative: scuole e università. L'educazione non può limitarsi a fornire un
insieme di conoscenze tecniche, bensì deve favorire il più complesso processo
di crescita della persona umana nella sua totalità. I giovani di oggi chiedono
di poter avere una formazione adeguata e completa per guardare al futuro con
speranza, piuttosto che con disillusione. Numerose sono, poi, le potenzialità
creative dell'Europa in vari campi della ricerca scientifica, alcuni dei quali
non ancora del tutto esplorati. Basti pensare ad esempio alle fonti alternative
di energia, il cui sviluppo gioverebbe molto alla difesa dell'ambiente.
L’Europa è sempre stata in prima linea in un lodevole
impegno a favore dell’ecologia. Questa nostra terra ha infatti bisogno di
continue cure e attenzioni e ciascuno ha una personale responsabilità nel
custodire il creato, prezioso dono che Dio ha messo nelle mani degli uomini.
Ciò significa da un lato che la natura è a nostra disposizione, ne possiamo
godere e fare buon uso; dall’altro però significa che non ne siamo i padroni.
Custodi, ma non padroni. La dobbiamo perciò amare e rispettare, mentre «invece
siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del
manipolare, dello sfruttare; non la "custodiamo", non la rispettiamo,
non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura»11(11 FRANCESCO, Udienza
Generale, 5 giugno 2013.
. Rispettare l’ambiente significa però non solo
limitarsi ad evitare di deturparlo, ma anche di utilizzarlo per il bene. Penso
soprattutto al settore agricolo, chiamato a dare sostegno e nutrimento
all’uomo. Non si può tollerare che milioni di persone nel mondo muoiano di
fame, mentre tonnellate di derrate alimentari vengono scartate ogni giorno
dalle nostre tavole. Inoltre, rispettare la natura, ci ricorda che l’uomo
stesso è parte fondamentale di essa. Accanto ad un’ecologia ambientale, serve
perciò quell’ecologia umana, fatta del rispetto della persona, che ho inteso
richiamare quest’oggi rivolgendomi a voi.
Il secondo ambito in cui fioriscono i talenti della
persona umana è il lavoro. E’ tempo di favorire le politiche di occupazione, ma
soprattutto è necessario ridare dignità al lavoro, garantendo anche adeguate
condizioni per il suo svolgimento. Ciò implica, da un lato, reperire nuovi modi
per coniugare la flessibilità del mercato con le necessità di stabilità e
certezza delle prospettive lavorative, indispensabili per lo sviluppo umano dei
lavoratori; d'altra parte, significa favorire un adeguato contesto sociale, che
non punti allo sfruttamento delle persone, ma a garantire, attraverso il
lavoro, la possibilità di costruire una famiglia e di educare i figli.
Parimenti, è necessario affrontare insieme la
questione migratoria. Non si può tollerare che il Mar Mediterraneo diventi
un grande cimitero! Sui barconi che giungono quotidianamente sulle coste
europee ci sono uomini e donne che necessitano di accoglienza e di aiuto.
L'assenza di un sostegno reciproco all'interno dell'Unione Europea rischia di
incentivare soluzioni particolaristiche al problema, che non tengono conto
della dignità umana degli immigrati, favorendo il lavoro schiavo e continue tensioni
sociali. L'Europa sarà in grado di far fronte alle problematiche connesse
all'immigrazione se saprà proporre con chiarezza la propria identità culturale
e mettere in atto legislazioni adeguate che sappiano allo stesso tempo tutelare
i diritti dei cittadini europei e garantire l'accoglienza dei migranti; se
saprà adottare politiche corrette, coraggiose e concrete che aiutino i loro
Paesi di origine nello sviluppo socio-politico e nel superamento dei conflitti
interni – causa principale di tale fenomeno – invece delle politiche di
interesse che aumentano e alimentano tali conflitti. È necessario agire sulle
cause e non solo sugli effetti.
Signor Presidente, Eccellenze, Signore e Signori
Deputati,
La coscienza della propria identità è necessaria anche
per dialogare in modo propositivo con gli Stati che hanno chiesto di entrare a
far parte dell'Unione in futuro. Penso soprattutto a quelli dell'area balcanica
per i quali l'ingresso nell'Unione Europea potrà rispondere all'ideale della
pace in una regione che ha grandemente sofferto per i conflitti del passato.
Infine, la coscienza della propria identità è indispensabile nei rapporti con
gli altri Paesi vicini, particolarmente con quelli che si affacciano sul
Mediterraneo, molti dei quali soffrono a causa di conflitti interni e per la
pressione del fondamentalismo religioso e del terrorismo internazionale.
A voi legislatori spetta il compito di custodire e far
crescere l'identità europea, affinché i cittadini ritrovino fiducia nelle
istituzioni dell'Unione e nel progetto di pace e amicizia che ne è il
fondamento. Sapendo che «quanto più cresce la potenza degli uomini tanto più si
estende e si allarga la loro responsabilità personale e collettiva»12(12 Gaudium et spes, 34.
, vi esorto perciò a lavorare perché l'Europa riscopra
la sua anima buona.
Un anonimo autore del II secolo scrisse che «i
cristiani rappresentano nel mondo ciò che l'anima è nel corpo»13(13 Cfr Lettera a Diogneto, 6.)
. Il compito dell'anima è quello di sostenere il
corpo, di esserne la coscienza e la memoria storica. E una storia bimillenaria
lega l'Europa e il cristianesimo. Una storia non priva di conflitti e di
errori, anche di peccati, ma sempre animata dal desiderio di costruire per il
bene. Lo vediamo nella bellezza delle nostre città, e più ancora in quella
delle molteplici opere di carità e di edificazione umana comune che costellano
il continente. Questa storia, in gran parte, è ancora da scrivere. Essa è il
nostro presente e anche il nostro futuro. Essa è la nostra identità. E l'Europa
ha fortemente bisogno di riscoprire il suo volto per crescere, secondo lo
spirito dei suoi Padri fondatori, nella pace e nella concordia, poiché essa
stessa non è ancora esente dai conflitti.
Cari Eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme
l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della
persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il
suo passato e guarda con fiducia il suo futuro per vivere pienamente e con
speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di
un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa
protagonista, portatrice di scienza, di arte, di musica, di valori umani e
anche di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali;
l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla terra
sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l'umanità!
Grazie.
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DISCORSO DEL SANTO PADRE
FRANCESCO
AL CONSIGLIO D'EUROPA
AL CONSIGLIO D'EUROPA
Strasburgo, Francia
Martedì, 25 novembre 2014
Martedì, 25 novembre 2014
Signor Segretario Generale, Signora
Presidente,
Eccellenze, Signore e Signori,
sono lieto di poter prendere la parola in questo
Consesso che vede radunata una rappresentanza significativa dell’Assemblea
Parlamentare del Consiglio d'Europa, i Rappresentanti dei Paesi Membri, i
Giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, come pure le diverse
Istituzioni che compongono il Consiglio d'Europa. Di fatto quasi tutta l'Europa
è presente in quest'aula, con i suoi popoli, le sue lingue, le sue espressioni
culturali e religiose, che costituiscono la ricchezza di questo continente.
Sono particolarmente grato al Signor Segretario Generale del Consiglio
d’Europa, Signor Thorbjørn Jagland, per il cortese invito e per le gentili
parole di benvenuto che mi ha rivolto. Saluto poi la Signora Anne Brasseur,
Presidente dell'Assemblea Parlamentare. Tutti ringrazio di cuore per l'impegno
che profondete e il contributo che offrite alla pace in Europa, attraverso la
promozione della democrazia, dei diritti umani e dello stato di diritto.
Nell'intenzione dei suoi Padri fondatori, il Consiglio
d'Europa, che quest'anno celebra il suo 65° anniversario, rispondeva ad una
tensione ideale all'unità che ha, a più riprese, animato la vita del continente
fin dall'antichità. Tuttavia, nel corso dei secoli hanno più volte prevalso le
spinte particolariste, connotate dal susseguirsi di diverse volontà egemoniche.
Basti pensare che dieci anni prima di quel 5 maggio 1949, in cui fu firmato a
Londra il Trattato che istituiva il Consiglio d'Europa, iniziava il più cruento
e lacerante conflitto che queste terre ricordino, le cui divisioni sono
continuate per lunghi anni a seguire, allorché la cosiddetta cortina di ferro
tagliava in due il continente dal Mar Baltico al Golfo di Trieste. Il progetto
dei Padri fondatori era quello di ricostruire l'Europa in uno spirito di mutuo
servizio, che ancora oggi, in un mondo più incline a rivendicare che a servire,
deve costituire la chiave di volta della missione del Consiglio d'Europa, a
favore della pace, della libertà e della dignità umana.
D'altra parte, la via privilegiata per la pace - per
evitare che quanto accaduto nelle due guerre mondiali del secolo scorso si
ripeta - è riconoscere nell'altro non un nemico da combattere, ma un fratello
da accogliere. Si tratta di un processo continuo, che non può mai essere dato
per raggiunto pienamente. È proprio quanto intuirono i Padri fondatori, che
compresero che la pace era un bene da conquistare continuamente e che esigeva
assoluta vigilanza. Erano consapevoli che le guerre si alimentano nell'intento
di prendere possesso degli spazi, cristallizzare i processi che vanno avanti e
cercare di fermarli; viceversa cercavano la pace che si può realizzare soltanto
nell'atteggiamento costante di iniziare processi e portarli avanti.
In tal modo affermavano la volontà di camminare
maturando nel tempo, perché è proprio il tempo che governa gli spazi, li
illumina, li trasforma in una catena di continua crescita, senza vie di
ritorno. Perciò costruire la pace richiede di privilegiare le azioni che
generano dinamismi nuovi nella società e coinvolgono altre persone e altri
gruppi che li svilupperanno, fino a che portino frutto in importanti
avvenimenti storici [1].
Per questa ragione diedero vita a questo Organismo
stabile. Il beato Paolo VI, alcuni anni dopo, ebbe a
ricordare che «le istituzioni stesse, che nell'ordine giuridico e nel concerto
internazionale hanno la funzione ed il merito di proclamare e conservare la
pace, raggiungono il loro provvido scopo se esse sono continuamente operanti,
se sanno in ogni momento generare la pace, fare la pace»[2].
Occorre un costante cammino di umanizzazione, così che «non basta
contenere le guerre, sospendere le lotte, (...) non basta una Pace imposta, una
Pace utilitaria e provvisoria; bisogna tendere a una Pace amata, libera, fraterna,
fondata cioè sulla riconciliazione degli animi»[3].
Vale a dire portare avanti i processi senza ansietà ma certo con convinzioni
chiare e con tenacia.
Per conquistare il bene della pace occorre anzitutto
educare ad essa, allontanando una cultura del conflitto che mira alla paura
dell'altro, all'emarginazione di chi pensa o vive in maniera differente. È vero
che il conflitto non può essere ignorato o dissimulato, dev'essere assunto. Ma
se rimaniamo bloccati in esso perdiamo prospettiva, gli orizzonti si limitano e
la realtà stessa rimane frammentata. Quando ci fermiamo nella situazione conflittuale
perdiamo il senso dell'unità profonda della realtà [4],
fermiamo la storia e cadiamo nei logoramenti interni di contraddizioni sterili.
Purtroppo la pace è ancora troppo spesso ferita. Lo è
in tante parti del mondo, dove imperversano conflitti di vario genere. Lo è
anche qui in Europa, dove non cessano tensioni. Quanto dolore e quanti morti
ancora in questo continente, che anela alla pace, eppure ricade facilmente
nelle tentazioni d'un tempo! È perciò importante e incoraggiante l'opera del
Consiglio d'Europa nella ricerca di una soluzione politica alle crisi in atto.
La pace però è provata anche da altre forme di
conflitto, quali il terrorismo religioso e internazionale, che nutre profondo
disprezzo per la vita umana e miete in modo indiscriminato vittime innocenti.
Tale fenomeno è purtroppo foraggiato da un traffico di armi molto spesso indisturbato.
La Chiesa considera che «la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi
dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri»[5].
La pace è violata anche dal traffico degli esseri umani, che è la nuova
schiavitù del nostro tempo e che trasforma le persone in merce di
scambio, privando le vittime di ogni dignità. Non di rado notiamo poi come tali
fenomeni siano legati tra loro. Il Consiglio d'Europa, attraverso i suoi
Comitati e i Gruppi di Esperti, svolge un ruolo importante e significativo nel
combattere tali forme di disumanità.
Tuttavia, la pace non è la semplice assenza di guerre,
di conflitti, di tensioni. Nella visione cristiana essa è, nello stesso
tempo, donodi Dio e frutto dell'azione libera e
razionale dell'uomo che intende perseguire il bene comune nella
verità e nell'amore. «Questo ordine razionale e morale poggia precisamente
sulla decisione della coscienza degli esseri umani di un'armonia nei loro
rapporti reciproci, nel rispetto della giustizia per tutti»[6].
Come dunque perseguire l'ambizioso obiettivo della
pace?
La strada scelta dal Consiglio d'Europa è anzitutto
quella della promozione dei diritti umani, cui si lega lo sviluppo della
democrazia e dello stato di diritto. È un lavoro particolarmente prezioso, con
notevoli implicazioni etiche e sociali, poiché da un retto intendimento di tali
termini e da una riflessione costante su di essi dipende lo sviluppo delle
nostre società, la loro pacifica convivenza e il loro futuro. Tale studio è uno
dei grandi contributi che l'Europa ha offerto e ancora offre al mondo intero.
In questa sede sento perciò il dovere di richiamare
l'importanza dell'apporto e della responsabilità europei allo sviluppo
culturale dell'umanità. Lo vorrei fare partendo da un'immagine che traggo da un
poeta italiano del Novecento, Clemente Rebora, che in una delle sue poesie
descrive un pioppo, con i suoi rami protesi al cielo e mossi dal vento, il suo
tronco solido e fermo e le profonde radici che s'inabissano nella terra [7].
In un certo senso possiamo pensare all'Europa alla luce di questa immagine.
Nel corso della sua storia, essa si è sempre protesa
verso l'alto, verso mete nuove e ambiziose, animata da un insaziabile desiderio
di conoscenza, di sviluppo, di progresso, di pace e di unità. Ma l'innalzarsi
del pensiero, della cultura, delle scoperte scientifiche è possibile solo per
la solidità del tronco e la profondità delle radici che lo alimentano. Se si
perdono le radici, il tronco lentamente si svuota e muore e i rami - un tempo
rigogliosi e dritti - si piegano verso terra e cadono. Qui sta forse uno dei
paradossi più incomprensibili a una mentalità scientifica isolata: per
camminare verso il futuro serve il passato, necessitano radici profonde, e
serve anche il coraggio di non nascondersi davanti al presente e alle sue
sfide. Servono memoria, coraggio, sana e umana utopia.
D'altra parte - osserva Rebora - «il tronco s'inabissa
ov'è più vero»[8].
Le radici si alimentano della verità, che costituisce il nutrimento, la linfa vitale
di qualunque società che voglia essere davvero libera, umana e solidale.
D’altra parte, la verità fa appello alla coscienza, che è
irriducibile ai condizionamenti, ed è perciò capace di conoscere la propria
dignità e di aprirsi all'assoluto, divenendo fonte delle scelte fondamentali
guidate dalla ricerca del bene per gli altri e per sé e luogo di una libertà
responsabile [9].
Occorre poi tenere presente che senza questa ricerca
della verità, ciascuno diventa misura di sé stesso e del proprio agire, aprendo
la strada dell'affermazione soggettivistica dei diritti, così che al concetto
di diritto umano, che ha di per sé valenza universale, si sostituisce l'idea di
diritto individualista. Ciò porta ad essere sostanzialmente incuranti degli
altri e a favorire quella globalizzazione dell'indifferenza che
nasce dall'egoismo, frutto di una concezione dell'uomo incapace di accogliere
la verità e di vivere un'autentica dimensione sociale.
Un tale individualismo rende umanamente poveri e
culturalmente sterili, perché recide di fatto quelle feconde radici su cui si
innesta l'albero. Dall'individualismo indifferente nasce il culto dell'opulenza,
cui corrisponde la cultura dello scarto nella quale siamo immersi. Abbiamo di
fatto troppe cose, che spesso non servono, ma non siamo più in grado di
costruire autentici rapporti umani, improntati sulla verità e sul rispetto
reciproco. E così oggi abbiamo davanti agli occhi l'immagine di un'Europa
ferita, per le tante prove del passato, ma anche per le crisi del presente, che
non sembra più capace di fronteggiare con la vitalità e energia di un tempo.
Un'Europa un po' stanca, pessimista, che si sente cinta d'assedio dalle novità
che provengono da altri continenti.
All'Europa possiamo domandare: dov'è il tuo vigore?
Dov'è quella tensione ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è
il tuo spirito di intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai
finora comunicato al mondo con passione?
Dalla risposta a queste domande dipenderà il futuro
del continente. D'altra parte - per tornare all'immagine di Rebora - un tronco
senza radici può continuare ad avere un'apparenza vitale, ma al suo interno si
svuota e muore. L'Europa deve riflettere se il suo immenso patrimonio umano,
artistico, tecnico, sociale, politico, economico e religioso è un semplice
retaggio museale del passato, oppure se è ancora capace di ispirare la cultura
e di dischiudere i suoi tesori all'umanità intera. Nella risposta a tale
interrogativo, il Consiglio d'Europa con le sue istituzioni ha un ruolo di
primaria importanza.
Penso particolarmente al ruolo della Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo, che costituisce in qualche modo la "coscienza"
dell'Europa nel rispetto dei diritti umani. Il mio auspicio è che tale coscienza
maturi sempre più, non per un mero consenso tra le parti, ma come frutto della
tensione verso quelle radici profonde, che costituiscono le fondamenta sulle
quali hanno scelto di edificare i Padri fondatori dell'Europa contemporanea.
Insieme alle radici - che occorre cercare, trovare e
mantenere vive con l'esercizio quotidiano della memoria, poiché costituiscono
il patrimonio genetico dell'Europa- ci sono le sfide attuali del continente che
ci obbligano a una creatività continua, perché queste radici siano feconde
nell'oggi e si proiettino verso utopie del futuro. Mi permetto di menzionarne
solo due: la sfida della multipolaritàe la sfida della trasversalità.
La storia dell'Europa può portarci a concepirla
ingenuamente come una bipolarità, o al più una tripolarità (pensiamo
all'antica concezione: Roma - Bisanzio - Mosca), e dentro questo schema, frutto
di riduzionismi geopolitici egemonici, muoverci nell'interpretazione del
presente e nella proiezione verso l'utopia del futuro.
Oggi le cose non stanno così e possiamo legittimamente
parlare di un'Europa multipolare. Le tensioni – tanto quelle che costruiscono
quanto quelle che disgregano - si verificano tra molteplici poli culturali,
religiosi e politici. L'Europa oggi affronta la sfida di "globalizzare"
ma in modo originale questa multipolarità. Non necessariamente le culture si
identificano con i Paesi: alcuni di questi hanno diverse culture e alcune
culture si esprimono in diversi Paesi. Lo stesso accade con le espressioni
politiche, religiose e associative.
Globalizzare in modo originale – sottolineo questo: in
modo originale – la multipolarità comporta la sfida di un'armonia costruttiva,
libera da egemonie che, sebbene pragmaticamente sembrerebbero facilitare il
cammino, finiscono per distruggere l'originalità culturale e religiosa dei
popoli.
Parlare della multipolarità europea significa parlare
di popoli che nascono, crescono e si proiettano verso il futuro. Il compito di
globalizzare la multipolarità dell'Europa non lo possiamo immaginare con la
figura della sfera - in cui tutto è uguale e ordinato, ma che risulta riduttiva
poiché ogni punto è equidistante dal centro -, ma piuttosto con quella
del poliedro, dove l'unità armonica del tutto conserva la
particolarità di ciascuna delle parti. Oggi l'Europa è multipolare nelle sue
relazioni e tensioni; non si può né pensare né costruire l'Europa senza
assumere a fondo questa realtà multipolare.
L'altra sfida che vorrei menzionare è la trasversalità.
Parto da un'esperienza personale: negli incontri con i politici di diversi
Paesi d'Europa ho potuto notare che i politici giovani affrontano la realtà da
una prospettiva diversa rispetto ai loro colleghi più adulti. Forse dicono cose
apparentemente simili ma l’approccio è diverso. Le parole sono simili, ma la
musica è diversa. Questo si verifica nei giovani politici dei diversi partiti.
Tale dato empirico indica una realtà dell'Europa odierna da cui non si può
prescindere nel cammino del consolidamento continentale e della sua proiezione
futura: tenere conto di questa trasversalità che si riscontra
in tutti i campi. Ciò non si può fare senza ricorrere al dialogo, anche inter-generazionale.
Se volessimo definire oggi il continente, dovremmo parlare di un'Europa
dialogante che fa sì che la trasversalità di opinioni e di riflessioni sia al
servizio dei popoli armonicamente uniti.
Assumere questo cammino di comunicazione trasversale
comporta non solo empatia generazionale bensì metodologia storica di crescita.
Nel mondo politico attuale dell'Europa risulta sterile il dialogo solamente
interno agli organismi (politici, religiosi, culturali) della propria
appartenenza. La storia oggi chiede la capacità di uscire per l’incontro dalle
strutture che "contengono" la propria identità al fine di
renderla più forte e più feconda nel confronto fraterno della trasversalità.
Un'Europa che dialoghi solamente entro i gruppi chiusi di appartenenza rimane a
metà strada; c'è bisogno dello spirito giovanile che accetti la sfida della
trasversalità.
In tale prospettiva accolgo con favore la volontà del
Consiglio d'Europa di investire nel dialogo inter-culturale, compresa la sua
dimensione religiosa, attraverso gli Incontri sulla dimensione
religiosa del dialogo interculturale. Si tratta di un'occasione proficua
per uno scambio aperto, rispettoso e arricchente tra persone e gruppi di
diversa origine, tradizione etnica, linguistica e religiosa, in uno spirito di
comprensione e rispetto reciproco.
Tali incontri sembrano particolarmente importanti
nell'attuale ambiente multiculturale,[ multipolare, alla ricerca di un proprio
volto per coniugare con sapienza l'identità europea formatasi nei secoli con le
istanze che giungono dagli altri popoli che ora si affacciano sul continente.
In tale logica va compreso l'apporto che il cristianesimo può
fornire oggi allo sviluppo culturale e sociale europeo nell'ambito di una
corretta relazione fra religione e società. Nella visione cristiana ragione e
fede, religione e società, sono chiamate a illuminarsi reciprocamente,
sostenendosi a vicenda e, se necessario, purificandosi scambievolmente dagli
estremismi ideologici in cui possono cadere. L'intera società europea non può
che trarre giovamento da un nesso ravvivato tra i due ambiti, sia per far
fronte a un fondamentalismo religioso che è soprattutto nemico di Dio, sia per
ovviare a una ragione "ridotta", che non rende onore all'uomo.
Sono assai numerosi e attuali i temi in cui sono
convinto vi possa essere reciproco arricchimento, nei quali la Chiesa cattolica
- particolarmente attraverso il Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa
(CCEE) - può collaborare con il Consiglio d'Europa e dare un contributo
fondamentale. Innanzitutto vi è, alla luce di quanto ho detto poc’anzi,
l'ambito di una riflessione etica sui diritti umani, sui quali la vostra
Organizzazione è spesso chiamata a riflettere. Penso, in modo particolare, ai
temi legati alla tutela della vita umana, questioni delicate che necessitano di
essere sottoposte a un esame attento, che tenga conto della verità di tutto
l'essere umano, senza limitarsi a specifici ambiti medici, scientifici o
giuridici.]
Parimenti sono numerose le sfide del mondo
contemporaneo che necessitano di studio e di un impegno comune, a partire
dall'accoglienza dei migranti, i quali hanno bisogno anzitutto dell'essenziale
per vivere, ma principalmente che venga riconosciuta la loro dignità di
persone. Vi è poi tutto il grave problema del lavoro, soprattutto per gli alti
livelli di disoccupazione giovanile che si riscontrano in molti Paesi - una
vera ipoteca per il futuro - ma anche per la questione della dignità del
lavoro.
Auspico vivamente che si instauri una nuova
collaborazione sociale ed economica, libera da condizionamenti ideologici, che
sappia far fronte al mondo globalizzato, mantenendo vivo quel senso di
solidarietà e carità reciproca che tanto ha segnato il volto dell'Europa grazie
all'opera generosa di centinaia di uomini, donne - alcuni dei quali la Chiesa
cattolica considera santi - i quali, nel corso dei secoli, si sono adoperati
per sviluppare il continente, tanto attraverso l'attività imprenditoriale che
con opere educative, assistenziali e di promozione umana. Soprattutto queste
ultime rappresentano un importante punto di riferimento per i numerosi poveri
che vivono in Europa. Quanti ce ne sono nelle nostre strade! Essi chiedono non
solo il pane per sostenersi, che è il più elementare dei diritti, ma anche di
riscoprire il valore della propria vita, che la povertà tende a far
dimenticare, e di ritrovare la dignità conferita dal lavoro.
Infine, tra i temi che chiedono la nostra riflessione
e la nostra collaborazione c'è la difesa dell'ambiente, di questa nostra amata
Terra che è la grande risorsa che Dio ci ha dato e che è a nostra disposizione
non per essere deturpata, sfruttata e avvilita, ma perché, godendo della sua immensa
bellezza, possiamo vivere con dignità.
Signor Segretario, Signora Presidente, Eccellenze,
Signore e Signori,
Il beato Paolo VI definì la Chiesa «esperta in
umanità»[10].
Nel mondo, a imitazione di Cristo, essa, malgrado i peccati dei suoi figli, non
cerca altro che servire e rendere testimonianza alla verità [11].
Null'altro fuorché questo spirito ci guida nel sostenere il cammino
dell'umanità.
Con tale disposizione d'animo la Santa Sede intende
continuare la propria collaborazione con il Consiglio d'Europa, che riveste
oggi un ruolo fondamentale nel forgiare la mentalità delle future generazioni
di europei. Si tratta di compiere assieme una riflessione a tutto campo,
affinché si instauri una sorta di "nuova agorà", nella quale
ogni istanza civile e religiosa possa liberamente confrontarsi con le altre,
pur nella separazione degli ambiti e nella diversità delle posizioni, animata
esclusivamente dal desiderio di verità e di edificare il bene
comune. La cultura, infatti, nasce sempre dall'incontro reciproco, volto a
stimolare la ricchezza intellettuale e la creatività di quanti ne prendono
parte; e questo, oltre ad essere l'attuazione del bene, questo è bellezza. Il
mio augurio è che l'Europa, riscoprendo il suo patrimonio storico e la
profondità delle sue radici, assumendo la sua viva multipolarità e
il fenomeno della trasversalità dialogante, ritrovi quella giovinezza
dello spirito che l'ha resa feconda e grande.
Grazie!
[7] «Vibra
nel vento con tutte le sue foglie / il pioppo severo; / spasima l'aria in tutte
le sue doglie / nell'ansia del pensiero: / dal tronco in rami per fronde si
esprime/ tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del
mistero, / e il tronco s'inabissa ov'è più vero»: Il pioppo in: Canti
dell'Infermità, ed. Vanni Scheiwiller, Milano 1957, 32.
[9] Cfr
GIOVANNI PAOLO II, Discorso all'Assemblea Parlamentare del Consiglio
d'Europa, Strasburgo, 8 ottobre 1988,
4.
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